martedì 26 Agosto 2025
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Alessia, nuova perizia: un verdetto che riapre il dibattito sulla responsabilità.

La decisione della Corte d’Appello risuona come un sollievo per la famiglia, un riconoscimento non solo della validità delle precedenti constatazioni emersa in sede di primo grado, ma soprattutto della persistente e inequivocabile consapevolezza di Alessia, la donna condannata all’ergastolo per l’abbandono che ha causato la morte della figlia Diana, poco più di un anno e mezzo.
L’avvocato Emanuele De Mitri, difensore della zia e della nonna di Diana, ha espresso questa soddisfazione, sottolineando come la nuova perizia abbia confermato la completa assenza di disturbi psichiatrici che possano aver compromesso la capacità di intendere e volere di Alessia.
Questo verdetto, lungi dall’essere una semplice conferma procedurale, apre un dibattito cruciale sulla natura della responsabilità penale e sulla sua correlazione con la capacità di agire liberamente.

La questione centrale non è tanto se Alessia abbia compiuto azioni riprovevoli – fatto accertato e inconfutabile – ma piuttosto se tali azioni possano essere pienamente attribuibili alla sua volontà cosciente e libera, o se siano invece il risultato di fattori psicologici o sociali che ne hanno intaccato la capacità di autodeterminazione.

La perizia psichiatrica, elemento centrale nel processo, si pone quindi come un tentativo di definire la linea sottile che separa la colpa dalla patologia, il libero arbitrio dalla compromissione psicologica.

L’assenza di disturbi mentali riscontrati, sebbene non esoneri completamente Alessia dalla responsabilità del suo atto, ne modifica profondamente la valutazione giuridica e le implicazioni per l’esecuzione della pena.

L’atteggiamento della famiglia, rappresentata dal legale, riflette un dolore profondo e una ricerca di verità che va oltre il semplice giudizio di colpevolezza.
Si tratta di comprendere le radici del gesto, di cercare risposte a domande scomode che riguardano la fragilità umana, le dinamiche familiari disfunzionali e i fallimenti del sistema di supporto sociale.
La vicenda di Alessia e Diana, pertanto, trascende la dimensione del singolo caso giudiziario e si configura come un campanello d’allarme per l’intera società, invitando a una riflessione più ampia sulla necessità di investire in prevenzione, sostegno alla genitorialità e programmi di recupero per le famiglie in difficoltà, al fine di evitare che tragedie simili si ripetano.
La giustizia, in questo contesto, non può limitarsi a punire, ma deve anche comprendere e cercare di ricostruire.

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