L’abitudine alla lettura dei quotidiani cartacei sta progressivamente scomparendo tra i giovani, che riversano la loro sete di informazione nel vasto oceano del web.
Tuttavia, la cruciale differenza risiede nel fatto che l’autonomia di scelta delle notizie, un tempo prerogativa del giornalista, è sempre più delegata a sofisticati algoritmi.
Questo processo, apparentemente neutro, genera un effetto distorsivo: i sistemi di raccomandazione tendono a presentare contenuti in linea con le preferenze espresse dall’utente, creando una sorta di “filtro a bolla” o “camera dell’eco”.
Come sottolineato dal Consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Cristiano Degano, questi ambienti virtuali finiscono per accentuare la polarizzazione dell’opinione pubblica, segregando individui in gruppi omogenei che si rinforzano reciprocamente nelle proprie convinzioni, precludendo il confronto e il dibattito costruttivo.
In questo scenario, il ruolo del giornalista assume una rilevanza ancora maggiore: diventa un sentinella, un analista critico chiamato a denunciare queste dinamiche manipolatorie e a garantire la pluralità delle voci e delle prospettive.
Tuttavia, contrastare questo fenomeno si rivela un’impresa ardua, data la sua natura intrinseca e la sua capacità di adattarsi e di evolversi.
Non si tratta semplicemente di un errore tecnico, ma di una dinamica sociale e psicologica profonda, alimentata dalla ricerca di conferma delle proprie idee e dalla tendenza a evitare ciò che ci mette a disagio.
Durante un incontro dedicato al ruolo dell’intelligenza artificiale nell’informazione, il coordinatore della Carta di Trieste sull’IA, Andrea Bulgarelli, e il teologo Ettore Malnati hanno ampliato la riflessione, evidenziando le implicazioni etiche e morali di questa trasformazione.
Don Malnati, in particolare, ha lanciato un allarme sulle conseguenze disumane dell’impiego dell’IA, soprattutto in ambito bellico, dove droni e armi autonome alimentano una spirale di violenza sempre più distante dal controllo umano.
La sua proposta si concentra sulla necessità impellente di un rinnovato umanesimo, fondato su una solida base etica e promossa attraverso un’educazione che stimoli il pensiero critico, l’empatia e la capacità di ascolto.
Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di riconquistare la centralità dell’uomo, restituendogli la facoltà di scegliere, di discernere e di agire responsabilmente, anziché lasciarsi guidare passivamente da algoritmi privi di coscienza e di valori.
La pace, ha concluso, non si conquista con la forza, ma con la maturazione delle coscienze e con la riscoperta del valore intrinseco di ogni essere umano.
La sfida, dunque, è quella di costruire un futuro in cui la tecnologia sia al servizio dell’uomo, e non viceversa, preservando la dignità, la libertà e la capacità di scelta di ciascuno.