Nel cuore delle Alpi tirolesi, la maestosa vetta del Tschirgant, sovrastante la valle dell’Inn, si erge come un simbolo di bellezza selvaggia e, a tratti, implacabile.
Questa montagna, meta ambita da escursionisti di ogni livello, si è recentemente trasformata in teatro di un evento singolare e preoccupante: il salvataggio, in pochi mesi, dello stesso uomo, un pensionato settantacinquenno, da circostanze di pericolo che mettono a dura prova la resilienza e la professionalità dei soccorritori alpini.
L’episodio recente, avvenuto sabato, ha visto l’uomo precipitare durante la discesa dall’alpeggio, avvolto dall’oscurità serale.
La difficoltà della localizzazione, durata ben trenta estenuanti ore, ha evidenziato le sfide operative che caratterizzano i salvataggi in alta quota.
L’assenza di un dispositivo GPS aggiornato, sostituito da un vecchio cellulare, ha ostacolato l’individuazione precisa, mentre le termocamere, inefficaci sulle superfici rocciose riscaldate dal sole diurno, hanno escluso un’altra potenziale via di ricerca.
Solo attraverso una complessa triangolazione del segnale telefonico, supportata dall’illuminazione aerea fornita da un drone, i soccorritori sono riusciti a rintracciare e raggiungere l’escursionista, un’operazione resa particolarmente ardua dal suo peso considerevole, superiore a cento chili.
Questo salvataggio si aggiunge a un precedente, avvenuto a febbraio, quando lo stesso uomo, in condizioni ancora più critiche a causa delle rigide temperature invernali, aveva necessitato dell’intervento del soccorso alpino sulla stessa montagna.
La ripetizione di eventi così pericolosi solleva interrogativi sulla responsabilità individuale e sulla consapevolezza dei rischi connessi alla frequentazione di ambienti montani impervi.
I soccorritori, sottolineando la gravità delle situazioni affrontate, esprimono profonda preoccupazione per la sicurezza dell’uomo e, più in generale, per il comportamento di alcuni escursionisti che sottovalutano i pericoli della montagna.
La frase romana “errare è umano, perseverare è diabolico” sembra assumere in questo contesto una nuova risonanza, ammonendo contro la testardaggine che può trasformare un’avventura in una potenziale tragedia.
L’episodio serve da monito per tutti: la montagna richiede rispetto, preparazione e una profonda comprensione dei propri limiti.
La sicurezza non è un diritto acquisito, ma una responsabilità condivisa, che coinvolge sia l’escursionista che chi, con dedizione e coraggio, si fa carico del suo salvataggio.