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Sospeso direttore ASPS Catania: accuse di abuso e molestie

La comunità medica catanese è stata scossa da un evento che solleva interrogativi profondi sull’etica professionale e gli equilibri di potere all’interno delle istituzioni sanitarie.

Giuseppe Reina, sessantatreenne e direttore sanitario dell’Azienda Provinciale per i Servizi di Salute Mentale (ASPS) di Catania, è stato sospeso dall’esercizio delle sue funzioni per un anno a seguito di un’indagine complessa e dolorosa, vertente su accuse di violenza sessuale e abuso di autorità.
L’inchiesta, originata da una segnalazione anonima che ha innescato un’indagine meticolosa da parte della Polizia Giudiziaria e della Squadra Mobile, ha portato alla luce un quadro preoccupante.

Secondo l’accusa, durante il suo precedente incarico di primario in un reparto dell’ospedale di Paternò, il dottor Reina avrebbe ripetutamente abusato della sua posizione di leadership per instaurare dinamiche di potere distorte, finalizzate all’ottenimento di favori sessuali da parte di personale femminile dipendente.

Il provvedimento di sospensione, eseguito con rigore istituzionale, è stato disposto in seguito alla valutazione di elementi probatori ritenuti sufficienti dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP).
Sebbene l’indagine abbia coinvolto diverse contestazioni, la valutazione giudiziaria si è concentrata, per ora, su un caso specifico: quello relativo a una collega medico chirurgo, la quale avrebbe subito coercizioni e atti sessuali indesiderati, resi possibili dall’abuso di potere gerarchico da parte del primario.
L’utilizzo di intercettazioni video, elemento cruciale nell’acquisizione delle prove, sottolinea l’importanza di un’indagine approfondita e la necessità di adottare misure investigative rigorose in casi di questo genere.

L’evento non solo ha un impatto devastante sulla presunta vittima e sul personale sanitario coinvolto, ma solleva anche interrogativi cruciali sulla cultura organizzativa all’interno delle strutture sanitarie, mettendo in luce la potenziale vulnerabilità di chi si trova in posizioni subordinate e la necessità di meccanismi di segnalazione sicuri e protettivi.
La vicenda rappresenta una sfida per l’intera comunità medica, esortando a una riflessione urgente sui valori etici, sulla responsabilità individuale e sulla creazione di ambienti di lavoro sicuri e rispettosi, dove ogni professionista possa sentirsi protetto e libero da qualsiasi forma di abuso o coercizione.
L’indagine è ancora in corso e le implicazioni legali e morali di questo caso richiederanno un’attenta valutazione e un confronto aperto e trasparente.

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