La figura emersa dalle indagini che hanno portato all’arresto del trapper Baby Gang, si configura come un elemento di allarme non solo per le accuse specifiche che gli sono contestate, ma anche per la potenziale influenza che esercita su un pubblico giovane e vulnerabile.
La richiesta di custodia cautelare avanzata dal pubblico ministero di Milano non si limita a descrivere il possesso illegale di un’arma da fuoco – una pistola semiautomatica priva di contrassegni identificativi, pronta all’uso con il suo caricatore – ma delinea un quadro più ampio, che solleva interrogativi profondi sulla sua condotta e sulle sue connessioni.
Le sue performance artistiche, i suoi videoclip e, più in generale, la sua immagine pubblica, appaiono intrise di un’aperta sfida alle istituzioni e alla rappresentazione del potere costituito.
Questa manifestazione di disprezzo, amplificata dai canali di comunicazione digitali e dalla sua notorietà, rischia di fomentare un atteggiamento di sfiducia e di ostilità nei confronti delle forze dell’ordine, con potenziali ripercussioni sulla sicurezza pubblica.
L’elemento particolarmente inquietante è l’utilizzo di armi vere, persino di tipo militare, nelle sue produzioni artistiche.
Questa pratica, oltre a costituire un reato di per sé, banalizza la violenza e la presenta come elemento di status o di identità, alimentando una cultura della pericolosità.
Le indagini, inoltre, suggeriscono che Baby Gang non agisce isolatamente.
La sua disponibilità ad armi da fuoco, si presume, sia il risultato di un accordo con un’organizzazione criminale attiva nel traffico di stupefacenti, il che implica un legame con ambienti illegali e una potenziale capacità di influenzare e di essere influenzato da dinamiche criminali.
La custodia cautelare richiesta dal pm mira, quindi, a prevenire ulteriori attività illegali e a tutelare l’ordine pubblico, ma rappresenta anche un campanello d’allarme sulla necessità di un’analisi più approfondita del fenomeno delle sottoculture musicali che esaltano la violenza e la sfida all’autorità, e sulla responsabilità dei media e dei produttori artistici nel promuovere o meno tali messaggi.
L’arresto di Baby Gang diventa, in questo senso, un’occasione per riflettere sul ruolo dell’arte e della cultura nella formazione delle coscienze, soprattutto quelle dei giovani.