Le recenti dichiarazioni di Herzi Halevi, ex Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), gettano una luce cruda e disturbante sull’impatto devastante del conflitto a Gaza.
Halevi, che ha guidato le IDF per i primi diciassette mesi della guerra iniziata il 7 ottobre 2023, ha ammesso che il bilancio di morti e feriti tra la popolazione palestinese supera le 200.000 persone, una cifra che converge sorprendentemente con le stime fornite dal Ministero della Salute di Gaza, spesso screditate da funzionari israeliani ma ritenute attendibili da agenzie umanitarie internazionali.
L’ammissione di Halevi, resa pubblica durante un incontro con i residenti del moshav Ein HaBesor, rivela un quadro di operazioni militari condotte senza la mediazione di considerazioni legali, un approccio che ha portato a una catastrofe umanitaria senza precedenti.
La cifra di oltre il 10% della popolazione di Gaza (2,2 milioni di abitanti) coinvolta in decessi o ferite, non è solo una statistica: è una rappresentazione tangibile della sofferenza indicibile che pervade la Striscia.
La reticenza a valutare le implicazioni legali durante le operazioni militari suggerisce una priorità assoluta data alla risposta militare, a discapito del diritto internazionale umanitario e del principio di proporzionalità.
La frase “abbiamo tolto i guanti fin dal primo minuto” rivela un approccio aggressivo fin dalle prime fasi del conflitto, alimentando un ciclo di violenza e distruzione.
L’implicita ammissione che Israele avrebbe dovuto adottare una linea più dura prima dell’attacco del 7 ottobre suggerisce una riflessione tardiva sulle strategie pre-conflitto e la loro potenziale influenza sull’escalation del conflitto.
Il bilancio ufficiale palestinese, con oltre 64.700 morti e 163.859 feriti, è probabilmente sottostimato, considerando la difficoltà di recuperare i corpi sepolti sotto le macerie.
I dati trapelati dall’intelligence militare israeliana, che indicano che oltre l’80% delle vittime sono civili, sollevano interrogativi inquietanti sulla natura del conflitto e sulla capacità di distinguere tra combattenti e non combattenti in un ambiente urbano densamente popolato.
Questo quadro complesso richiede una revisione profonda delle strategie militari israeliane e delle loro conseguenze umanitarie.
La necessità di una maggiore trasparenza, di una rigorosa aderenza al diritto internazionale e di un impegno genuino verso la protezione dei civili non può essere più ignorata.
L’ammissione di Halevi, seppur tardiva, offre un’opportunità, forse l’ultima, per intraprendere un percorso verso una soluzione pacifica e duratura, basata sul rispetto dei diritti umani e sulla giustizia per tutti.
La comunità internazionale deve insistere affinché vengano condotte indagini indipendenti per accertare le responsabilità e garantire che tali atrocità non si ripetano.