La recente aggressione al giornalista del TG regionale Friuli Venezia Giulia, Maurizio Mervar, solleva interrogativi profondi e dolorosi, ben al di là della gravità del singolo atto violento.
La reazione della Rai, esprimendo la propria condanna, non può limitarsi a una semplice presa di distanza: è un monito per l’intera comunità professionale e una sollecitazione per la società civile.
L’episodio, inequivocabilmente, colpisce non solo un singolo esponente del Servizio Pubblico, ma l’intera rete di professionisti che, quotidianamente, si dedicano a garantire l’accesso all’informazione.
Dietro ogni notiziario, ogni approfondimento, ogni reportage, c’è un lavoro silenzioso, spesso invisibile, svolto da centinaia di giornalisti, tecnici, redattori e operatori.
Un lavoro che richiede rigore, competenza, etica e, spesso, un coraggio non indifferente.
La professione giornalistica, nel contesto del Servizio Pubblico, assume una valenza specifica.
Non si tratta semplicemente di raccontare eventi, ma di svolgere una funzione essenziale per la democrazia: quella di informare i cittadini, di fare chiarezza, di dare voce a chi non ne ha, di vigilare sull’operato delle istituzioni.
Questo mandato pubblico impone un livello di responsabilità e un impegno che vanno al di là della mera esecuzione di un contratto di lavoro.
L’aggressione a Mervar, pertanto, va interpretata come un attacco al diritto all’informazione, un tentativo di intimidire chi si fa portavoce della collettività, un segnale di disarretramento che mette a rischio la libertà di stampa e il pluralismo dell’informazione.
È necessario interrogarsi sulle cause di una tale escalation di violenza, che si manifesta non solo in contesti di crisi sociale o politica, ma anche in situazioni apparentemente più tranquille.
Si tratta di un fenomeno complesso, che affonda le sue radici in un clima di crescente polarizzazione, di disinformazione, di sfiducia nei confronti delle istituzioni e, non ultimo, di una cultura dell’odio che si diffonde attraverso i social media.
La Rai, in quanto Servizio Pubblico, ha il dovere di reagire con fermezza a questo attacco, non solo condannandolo pubblicamente, ma anche rafforzando la protezione dei propri giornalisti, promuovendo la formazione sulla sicurezza e incoraggiando un dibattito aperto e costruttivo sulla libertà di stampa e sulla sua importanza per la democrazia.
È un momento cruciale per riaffermare il ruolo fondamentale dell’informazione di qualità e per difendere i valori che la sorreggono.
Il silenzio o l’indifferenza sarebbero complici di questa deriva pericolosa.