Il nome di Willy Monteiro Duarte risuona ancora, un eco doloroso che squarcia il tessuto della nostra memoria collettiva.
Cinque anni sono trascorsi da quando quella giovane vita, ricca di promesse e di futuro, è stata brutalmente spezzata a Colleferro, vittima di un’irrazionale e insensata ondata di violenza.
Willy, un ragazzo di ventuno anni, incarnava un’innocenza struggente, una predisposizione all’empatia e alla pacificazione che lo spinse, con coraggio e altruismo, a intercedere tra due persone coinvolte in una discussione, nel vano tentativo di prevenirne l’escalation in una rissa.
Ironia crudele del destino, fu proprio il suo gesto di mediazione a costargli la vita.
La sua morte non è semplicemente un tragico incidente, ma un monito severo che ci interroga sulla natura della violenza, sulle sue radici profonde e sulle sue devastanti conseguenze.
Willy non fu solo una vittima, ma un simbolo: l’immagine di un giovane che, con la sua stessa esistenza, aspirava a un mondo più giusto, più pacifico, più rispettoso della dignità umana.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con la sua presenza a Colleferro, ha voluto riaffermare l’importanza di non dimenticare, di preservare la memoria di Willy non come un ricordo intriso di dolore, ma come un faro che illumina il cammino verso una cultura della legalità, del dialogo e della nonviolenza.
Non dimenticare significa onorare il suo sacrificio, perpetuando il suo spirito di compassione e di umanità.
La sua storia ci invita a una riflessione profonda: dobbiamo educare le nuove generazioni al rispetto reciproco, all’accettazione delle diversità e alla risoluzione pacifica dei conflitti.
È fondamentale promuovere l’intelligenza emotiva, l’empatia e la capacità di ascolto, strumenti essenziali per contrastare la violenza e costruire una società più inclusiva e solidale.
La memoria di Willy non può essere relegata a un anniversario annuale.
Deve permeare la nostra quotidianità, ispirando azioni concrete per combattere la violenza in tutte le sue forme, dalla più fisica alla più sottile, quella verbale e psicologica.
Dobbiamo trasformare il suo ricordo in un impegno continuo, una promessa solenne di costruire un futuro in cui nessun altro giovane debba perdere la vita in un atto insensato di violenza.
La sua eredità più preziosa non è il dolore che ha lasciato, ma la possibilità di un mondo migliore, un mondo che Willy avrebbe desiderato e per il quale, con la sua stessa esistenza, ha cercato di lottare.