La giustizia, a distanza di oltre trent’anni, ha finalmente sigillato il destino di Umberto Pietrolungo, cinquantotto anni, originario di Cetraro, in provincia di Cosenza.
Il tribunale di Vicenza lo ha condannato all’ergastolo per il duplice omicidio dei coniugi Pierangelo Fioretto e Mafalda Begnozzi, un crimine che ha scosso profondamente la comunità vicentina il 25 febbraio 1991.
La sentenza, emessa dal giudice Antonella Crea durante l’udienza preliminare, rappresenta la conclusione di un’indagine complessa e travagliata, un cold case riaperto e risolto grazie a progressi significativi nelle tecniche di analisi del DNA e a un’incessante ricerca della verità.
Il caso, per anni immerso in un’aura di mistero, mancava di un movente chiaro, alimentando speculazioni e frustrazioni.
La svolta decisiva si è verificata nel 2023, coronando un’operazione investigativa meticolosa, coordinata dal pubblico ministero Hans Roderich Blattner e supportata dal procuratore capo Lino Giorgio Bruno.
L’indagine, condotta dalla squadra mobile della questura di Vicenza sotto la guida del vice questore Lorenzo Ortensi, si è basata sull’analisi di una traccia di DNA precedentemente isolata nel 2012 dalla polizia scientifica.
Questa prova, inizialmente isolata, ha trovato la sua corrispondenza in un profilo genetico rinvenuto durante un’indagine legata a una sparatoria avvenuta in Calabria nel 2022, un legame apparentemente distante che ha permesso di identificare l’autore del delitto.
La ricostruzione dell’indagine, presentata in dettaglio durante l’udienza precedente, ha svelato la complessità del percorso investigativo, un intreccio di piste abbandonate e indizi apparentemente insignificanti, che solo con l’ausilio delle moderne tecnologie e la perseveranza degli inquirenti è stato possibile ricomporre.
Il processo, segnato da una forte tensione emotiva, ha visto in aula la presenza dei rappresentanti dell’accusa, determinati a perseguire la giustizia per le vittime e le loro famiglie.
Le difese, rappresentate dagli avvocati Marco Bianco, Giuseppe Bruno e Matilde Greselin, hanno sostenuto l’innocenza dell’imputato, chiedendo l’assoluzione.
Tuttavia, le prove genetiche e gli elementi raccolti durante l’indagine hanno reso inamovibile la posizione accusatoria, portando il giudice a emettere la sentenza di ergastolo.
Questo caso illustra l’importanza cruciale della scienza forense e della collaborazione tra diverse forze dell’ordine, capaci di superare i confini geografici e temporali per portare a termine un’indagine complessa e di riportare la verità alla luce, anche a distanza di decenni.
La sentenza, sebbene dolorosa per l’imputato, rappresenta una vittoria per la giustizia e un sollievo per le famiglie delle vittime, che dopo anni di incertezza possono finalmente trovare un po’ di pace.