Nel contesto di un ricevimento diplomatico presso l’ambasciata cinese a Roma, un momento di cortesia formale, un gesto che si ripete innumerevoli volte nel panorama delle relazioni internazionali, mi è capitato di incrociare e salutare l’ambasciatore russo, Alexei Paramonov.
Un’occasione simile a quelle che hanno visto la mia presenza, in qualità di ministro, al fianco di numerosi altri rappresentanti diplomatici accreditati presso la Repubblica Italiana.
Tra i convenuti, ho riconosciuto volti familiari, amici e colleghi provenienti da diverse aree politiche, espressioni del panorama parlamentare italiano, sia del Partito Democratico che di Fratelli d’Italia.
L’atto di salutare un ambasciatore, in un contesto del genere, non va interpretato come un atto politico di particolare significato intrinseco, ma piuttosto come un imperativo di etichetta, un segnale di rispetto verso l’ospite e verso la nazione rappresentata.
È un rituale che trascende le opinioni personali e le divergenze ideologiche, un atto di diplomazia di base volto a mantenere aperti i canali di comunicazione, un presupposto fondamentale per affrontare le sfide globali.
In un mondo sempre più complesso e polarizzato, dove i conflitti latenti minacciano la stabilità e la cooperazione internazionale, la capacità di dialogare, anche con coloro con cui si hanno profonde divergenze, si rivela un’arma strategica.
Preferisco, inequivocabilmente, un gesto di cordialità, una stretta di mano sincera, a un’espressione di ostilità o di rabbia.
Il dialogo, anche quando difficile e impetuoso, rappresenta la via per comprendere le motivazioni altrui, per individuare possibili aree di convergenza e per prevenire escalation pericolose.
La complessità delle relazioni internazionali richiede un approccio pragmatico e responsabile.
Mentre la discussione sulla guerra e le sue conseguenze rimane cruciale e urgente, il mio impegno, e presumo quello di ogni persona di buon senso, è rivolto alla ricerca di soluzioni pacifiche, alla promozione della sicurezza collettiva e alla prevenzione di ulteriori perdite umane.
Non è mio intento, né lo è di chiunque ambisca al bene comune, alimentare tensioni o inviare persone al fronte.
La diplomazia, il dialogo, la costruzione di ponti – questi sono gli strumenti che dobbiamo privilegiare per garantire un futuro più sicuro e prospero per tutti.