Il ritrovamento di un pizzino, apparentemente banale nella sua economia, sta riaprendo vecchie ferite e gettando nuova luce sull’inquietante caso di Chiara Poggi, la giovane deceduta a Garlasco il 13 agosto 2007.
Giuseppe Sempio, padre di Andrea Sempio, unico indagato in un nuovo filone d’indagine in corso a Pavia, ha rilasciato dichiarazioni significative in merito alla natura di quel piccolo foglietto, inizialmente percepito come irrilevante.
L’ammontare di venti-trenta euro, una somma modesta, ora si rivela un tassello cruciale in un complesso puzzle che coinvolge accuse di corruzione in atti giudiziari e possibili collusione all’interno del sistema giudiziario.
Il pizzino, al centro dell’indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Brescia, reca un’annotazione che fa riferimento all’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, e ad un’archiviazione, apparentemente legata a un orario specifico.
Questa scoperta, unitamente ad altre intercettazioni e rapporti con membri della sezione di Polizia Giudiziaria della Procura di Pavia, ha innescato un’ondata di perquisizioni domiciliari presso la famiglia Sempio, condotte congiuntamente dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri.
Durante le dichiarazioni, Giuseppe Sempio ha tentato di ricostruire il contesto originario di quella scrittura, ammettendo di non ricordare immediatamente la sua precisa finalità.
Successivamente, a seguito di chiarimenti, ha ipotizzato che i soldi potessero essere destinati al pagamento di marche da bollo o per coprire le spese legali necessarie all’ottenimento di documenti cruciali per l’attività difensiva.
Ha sottolineato la dipendenza dalla professionalità e dalle direttive dei propri avvocati, evidenziando un rapporto di fiducia e di necessità.
L’avvocato Massimo Lovati, legale di Andrea Sempio, ha precisato che l’intercettazione in questione risale a un periodo contemporaneo all’interrogatorio dell’indagato e che le frasi contenute nel pizzino potrebbero essere derivate dai suoi consigli professionali.
Lovati ha inoltre ricordato che, all’epoca, l’unico atto depositato era una relazione investigativa redatta dall’agenzia Skp, suggerendo che la sua raccomandazione fosse volta a preparare i suoi assistiti alle domande che sarebbero state loro poste.
In una dichiarazione che solleva interrogativi etici e legali, l’avvocato Lovati ha persino espresso la possibilità di aver consigliato ai suoi assistiti di negare il ricordo di eventi specifici, una strategia difensiva che ora viene scrutinata alla luce delle nuove accuse.
La complessità del caso risiede nella delicata linea di demarcazione tra la legittima difesa e la possibile ostacolarità all’amministrazione della giustizia, un tema che la nuova inchiesta è chiamata ad approfondire e a chiarire.
L’intera vicenda si configura come un campanello d’allarme sulla necessità di garantire trasparenza e integrità all’interno del sistema giudiziario, per evitare che un pizzino apparentemente insignificante possa riaprire ferite di un caso che ha profondamente segnato l’opinione pubblica.