La sentenza della Seconda Sezione della Corte d’Appello di Napoli ha segnato un punto di svolta significativo nel complesso e intricato caso che coinvolge Crescenzo Marino, figura centrale in una delle realtà criminali più radicate nel tessuto sociale di Scampia.
Al termine di un’attenta e prolungata camera di consiglio, i giudici hanno disposto l’assoluzione di Marino dall’accusa di aver assunto la leadership del clan omoonimo, ereditando, di fatto, il ruolo apicale precedentemente detenuto dal padre, il noto Gennaro Marino, soprannominato McKay.
L’udienza, densa di implicazioni e carichi emotivi, ha visto Marino assistito da un team di difesa composto dagli avvocati Luigi Senese, Saverio Senese ed Emilia Granata, che hanno operato con precisione strategica nell’analizzare le prove presentate in primo grado e nell’evidenziare le debolezze dell’impianto accusatorio.
Un elemento peculiare, che ha amplificato l’interesse pubblico attorno al caso, è il legame di Marino con il noto artista Geolier, il quale ha menzionato esplicitamente il suo amico in alcuni brani musicali, in particolare nel celebre “nun sacc’ perdere”, contenuto nell’album “Dio Lo sa Atto III”.
Questa connessione, pur non essendo direttamente rilevante per il processo, ha contribuito a creare un vortice di attenzione mediatica e a stimolare un dibattito più ampio sui rapporti tra cultura, criminalità e rappresentazione sociale.
La figura di Crescenzo Marino, figlio del boss Gennaro Marino, precedentemente condannato a una pena detentiva di dieci anni, assume ora contorni inediti a seguito dell’assoluzione con formula piena.
Quest’ultima, particolarmente incisiva, esclude non solo la responsabilità di Marino, ma nega anche la sussistenza dei fatti che gli venivano contestati.
L’accusa principale che gravava su di lui era quella di essere il capo e promotore dell’associazione criminale denominata clan Marino, operante nelle zone delle cosiddette “case celesti” di Scampia.
La decisione della Corte d’Appello, pertanto, non si limita a una liberazione personale, ma solleva interrogativi profondi sull’efficacia delle indagini, sulla ricostruzione dei rapporti di potere all’interno dell’organizzazione e sulle modalità con cui si possano contrastare le dinamiche criminali che affondano le radici in un contesto socio-economico complesso e segnato da profonda marginalizzazione.
L’assoluzione, seppur un diritto garantito dalla legge, apre a nuove riflessioni sulla necessità di un approccio più olistico e mirato nella lotta alla criminalità organizzata, che tenga conto non solo della repressione, ma anche della prevenzione e del recupero sociale.