Ventidue anni sono trascorsi da quando Bari, e l’intera nazione, ha subito il ferito di una perdita irreparabile: Giovanni Marchitelli, un ragazzo di soli quindici anni, strappato alla vita in un atto di violenza insensato, vittima innocente di una guerra tra clan mafiosi.
Quella sera, mentre lavorava nella pizzeria di famiglia per contribuire al proprio futuro e continuare gli studi, Giovanni si trovò ingiustamente al centro di una sparatoria, diventando un simbolo tangibile del costo umano delle attività criminali.
Ogni anno, nel quartiere Carbonara, la comunità si raccoglie per onorare la memoria di Giovanni, un rito di commemorazione che coinvolge familiari, amici e rappresentanti istituzionali.
Quest’anno, il presidente della commissione Antimafia del Comune, Giuseppe Carrieri, ha partecipato alla cerimonia, offrendo un omaggio floreale alla madre di Gaetano, figura centrale nel tessuto sociale del quartiere.
L’occasione è stata presa per riaprire un dibattito cruciale sulla giustizia e la necessità di una riforma delle leggi penali.
Carrieri ha annunciato un impegno concreto: invitare la madre di Giovanni e i suoi legali ad una audizione in commissione.
L’obiettivo è approfondire la storia giudiziaria del caso, esaminandone ogni dettaglio e presentandone una relazione dettagliata alla commissione nazionale Antimafia.
La denuncia di Carrieri non si limita alla commemorazione, ma si traduce in una richiesta esplicita di cambiamento.
Viene sollevato il problema della severità delle pene, evidenziando come le norme attuali, paradossalmente, permettano a coloro che hanno causato la morte di un ragazzo di quindici anni di accedere a una libertà anticipata dopo un periodo di detenzione di soli quindici o venti anni.
Questa situazione solleva interrogativi profondi sulla percezione della giustizia, sull’efficacia del sistema penale e sulla necessità di una risposta più incisiva per proteggere i giovani e contrastare la criminalità organizzata.
La vicenda di Giovanni Marchitelli, dunque, continua a rappresentare un monito costante, un appello alla responsabilità collettiva e un invito all’azione per garantire che simili tragedie non si ripetano mai più, promuovendo una cultura della legalità e del rispetto per la vita.
La sua memoria deve servire da catalizzatore per una riflessione continua e per un impegno concreto verso una giustizia più equa e una società più sicura.