Rimodellare le fondamenta del pensiero economico, specialmente in un’epoca segnata da profonde fratture nelle dinamiche internazionali e da una crescente precariazione degli obiettivi condivisi a livello globale – prosperità equa, giustizia sociale, sostenibilità ambientale – si rivela un imperativo, non una mera opzione.
Questa necessità, esplicitata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel contesto del Festival Nazionale dell’Economia Civile, trascende la mera gestione della crisi per interrogare l’essenza stessa del nostro modo di concepire il progresso.
Il concetto di “bene comune”, spesso banalizzato o strumentalizzato, necessita di una radicale rilettura.
Non si tratta semplicemente di un insieme di servizi o infrastrutture erogate dallo Stato a beneficio di una maggioranza, ma di un orizzonte di valori e opportunità che chiama in causa la responsabilità di ciascun individuo, di ogni nucleo familiare, di ogni iniziativa imprenditoriale.
È un imperativo etico che trascende l’interesse personale e si proietta verso il futuro.
La partecipazione attiva alla vita civica, intesa non come un diritto formale ma come un dovere consapevole, assume un ruolo cruciale in questo processo di trasformazione.
Solo attraverso un impegno diffuso e informato è possibile plasmare politiche e implementare misure capaci di conciliare le necessità immediate delle comunità con la salvaguardia del capitale naturale e umano per le generazioni a venire.
Questo richiede un cambio di mentalità profondo, un passaggio da una logica di sfruttamento a una di cura e rigenerazione.
L’attuale modello economico, imperniato sulla crescita illimitata e sulla competizione spietata, si dimostra insostenibile.
Esso alimenta disuguaglianze, depreda le risorse del pianeta e mina la coesione sociale.
È necessario abbracciare un approccio sistemico che tenga conto delle interconnessioni tra economia, ambiente e società.
Questo implica la promozione di un’economia circolare, l’investimento in energie rinnovabili, la riduzione dei consumi, la valorizzazione del lavoro dignitoso e la redistribuzione della ricchezza.
La sfida che ci attende non è solo tecnologica o finanziaria, ma soprattutto culturale e politica.
Richiede una leadership illuminata, capace di ispirare e mobilitare le energie positive della società.
Implica un ripensamento radicale del ruolo dello Stato, non come mero regolatore o fornitore di servizi, ma come facilitatore di un cambiamento profondo e duraturo.
La costruzione di un futuro sostenibile e giusto per tutti dipende dalla nostra capacità di agire con coraggio, visione e senso di responsabilità verso le generazioni future.
Il bene comune, in ultima analisi, è la nostra eredità più preziosa.