La città di Perugia, come un microcosmo di problematiche che affliggono l’Italia e l’Europa, si trova a confrontarsi con una deriva preoccupante nell’esercizio del diritto di protesta.
Le recenti manifestazioni, pur animate da nobili intenzioni di giustizia e solidarietà, hanno visto azioni che, lungi dal promuovere il dialogo e la ricerca di soluzioni, hanno generato un impatto negativo sulla vita civile, trasformando il diritto fondamentale alla manifestazione in una forma di coercizione collettiva.
L’immagine di stazioni ferroviarie occupate, binari bloccati e quartieri intere rese inaccessibili non può essere giustificata in nome di un’astratta solidarietà.
Dietro queste azioni si celano conseguenze concrete e dolorose per la comunità: famiglie intrappolate nel caos del traffico, studenti impossibilitati a frequentare le lezioni, lavoratori penalizzati nella loro produttività, pendolari costretti a rinunciare ai propri diritti di mobilità.
Questa catena di disagi, accumulandosi quotidianamente, erode il tessuto sociale e compromette la qualità della vita di tutti i cittadini.
È imprescindibile riconoscere la legittimità del dissenso, la necessità di esprimere rabbia e chiedere giustizia.
La democrazia si nutre di voci dissenzienti, di contestazioni e di proposte alternative.
Tuttavia, il diritto di manifestare non può essere equiparato a un diritto di paralisi, di imposizione di una visione attraverso la negazione dei diritti altrui.
Il blocco totale, la coercizione imposta, non rappresentano un esercizio di cittadinanza responsabile, ma un atto di sopraffazione che mina le fondamenta stesse della convivenza civile.
La costruzione della pace, della giustizia sociale, non passa per la forza bruta o per la negazione dei diritti altrui.
Richiede un approccio basato sul dialogo, sulla mediazione, sul coinvolgimento delle istituzioni e sulla ricerca di soluzioni condivise.
La diplomazia, il confronto aperto, la capacità di ascolto e la volontà di compromesso sono gli strumenti essenziali per affrontare le complessità del nostro tempo.
È necessario un ripensamento profondo del modo in cui si intende la protesta, un ritorno a un esercizio di cittadinanza più maturo e consapevole.
Un esercizio che non si limiti a esprimere sdegno, ma che si impegni attivamente nella costruzione di un futuro più giusto e sostenibile per tutti.
Le istituzioni, a loro volta, devono garantire la sicurezza e la libertà di tutti i cittadini, assicurando al contempo la possibilità di esprimere il proprio dissenso in modo pacifico e costruttivo, senza compromettere il diritto alla mobilità e all’accesso ai servizi essenziali.
Il tempo è finito di sacrificare la vita quotidiana dei cittadini sull’altare di una protesta che, troppo spesso, si rivela più distruttiva che costruttiva.