“Amata”: Un Mosaico di Maternità, Silenzi e SperanzeElisa Amoruso firma “Amata”, un’opera cinematografica che si immerge nelle acque complesse e spesso inesplorate dell’esperienza materna, intrecciando le vite di due donne, Nunzia e Maddalena, accomunate da un profondo desiderio e da percorsi emotivi apparentemente opposti.
Il film, presentato alle Giornate degli Autori a Venezia e distribuito dal 16 ottobre, non si limita a raccontare una storia, ma si propone come un’indagine intima sui tabù che avvolgono la maternità e sulle scelte difficili che le donne si trovano a compiere.
Nunzia (Tecla Insolia), giovane studentessa lontana da casa, si confronta con una gravidanza inattesa, un evento che la costringe a interrogarsi sul proprio futuro e sulle responsabilità che ne derivano.
Dall’altra parte del racconto, Maddalena (Miriam Leone), donna agiata e sposata con il pianista Luca (Stefano Accorsi), vive l’angoscia dell’infertilità, un vuoto profondo segnato da tentativi falliti e dolorosi aborti.
La loro esistenza, apparentemente distante, si rivela interconnessa da una comune fragilità e dalla ricerca di un significato più ampio.
“Amata” non offre soluzioni semplici o giudizi affrettati.
Piuttosto, esplora le zone d’ombra del percorso materno, evidenziando la pressione sociale, le paure individuali e la mancanza di informazioni concrete.
La “culla per la vita”, istituzione spesso sconosciuta, emerge come un punto di svolta, un luogo di supporto e dignità che offre una via d’uscita a scelte difficili.
Il ruolo della psicologa (Donatella Finocchiaro) si rivela fondamentale nel fornire un ascolto empatico e un aiuto professionale a entrambe le protagoniste.
La regista, in un’intervista a Venezia, sottolinea l’importanza di offrire un messaggio di solidarietà e speranza alle donne che si sentono impreparate ad affrontare la maternità.
“Amata” non condanna, ma invita alla riflessione, ricordando che un gesto come affidare un bambino a una “culla per la vita” può essere un atto di coraggio e responsabilità.
Il film, come un atto di denuncia sociale, solleva una questione cruciale: la scarsa informazione che circonda le “culle per la vita” e la possibilità di partorire in anonimato.
Questa lacuna informativa contribuisce a perpetuare tragedie come quelle che hanno segnato la cronaca nera italiana, da Cogne a Parma.
Un tocco autobiografico emerge nel racconto della regista, che condivide l’esperienza di un aborto spontaneo, un evento spesso silenziato e tabù.
Questa confessione personale aggiunge profondità e autenticità al racconto, invitando il pubblico a confrontarsi con le fragilità e le perdite che accomunano l’esperienza femminile.
“Amata” si configura come un dramma sociale che si nutre di fatti ispirati alla cronaca, un genere che permette di illuminare aspetti oscuri del nostro modo di vivere e di suscitare emozioni intense.
La regista, ispirata da opere come “The Good Mothers”, aspira a smuovere le coscienze attraverso un cinema che commuove e coinvolge, evitando messaggi didascalici e dogmatici, in linea con la poetica di Truffaut.
L’esperienza nel documentario su Chiara Ferragni è presentata come un capitolo chiuso, un’indagine sul mondo digitale che oggi assumerebbe contorni diversi, forse più orientata a rappresentare una parabola ascendente seguita da una brusca caduta.
Prodotto da Memo Films, Indiana Production e Rai Cinema, “Amata” si propone come un’opera coraggiosa e necessaria, un invito a superare i silenzi e i tabù che ancora avvolgono l’esperienza materna.