La recente presa di posizione del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sostenuta dal Commissario alla Ricostruzione post-sisma, Guido Castelli, pone al centro del dibattito europeo una questione cruciale: la necessità di rivedere l’approccio ideologico alla lotta contro il cambiamento climatico e alla transizione ecologica.
L’attuale paradigma del Green Deal, così come delineato dalla Commissione Europea, rischia di compromettere la sostenibilità e la resilienza dei territori italiani, in particolare quelli montani e marginali come l’Appennino centrale.
La critica principale riguarda l’eccessiva rigidità delle normative europee, concepite per rispondere alle esigenze climatiche e ambientali del Nord e Centro Europa, e che risultano inadeguate, se non dannose, per le realtà del Sud, caratterizzate da vulnerabilità specifiche e da un forte legame storico e culturale con il territorio.
L’imposizione di obiettivi di riduzione delle emissioni e di ripristino della natura, senza un’adeguata considerazione delle peculiarità locali, rischia di accelerare lo spopolamento delle aree interne, abbandonandole al loro destino e privandole della linfa vitale rappresentata dall’attività umana.
L’Appennino, in particolare, incarna questa contraddizione.
Un territorio plasmato per secoli dall’interazione tra uomo e natura, dove l’agricoltura terrazzata, i pascoli gestiti, le infrastrutture idrauliche e le reti di comunicazione hanno creato un mosaico complesso di usi e abitudini che hanno garantito la tenuta del territorio e la conservazione di una biodiversità eccezionale.
Le politiche europee, orientate all’abbandono e alla rinaturalizzazione, rischiano di compromettere questo patrimonio millenario, trasformando i pendii in aree a rischio idrogeologico e accelerando lo spopolamento.
Il Regolamento per il ripristino della natura, uno dei pilastri del Green Deal, esemplifica questa problematica.
Il processo di rinaturalizzazione spontanea dei terreni agricoli abbandonati, con la conseguente espansione delle aree boschive, rappresenta un fenomeno già in atto e innegabile.
Richiedere ingenti risorse per finanziare interventi mirati a invertire questa tendenza, senza un’analisi approfondita delle cause e delle conseguenze, appare non solo inefficiente ma anche controproducente.
La sfida, dunque, non è quella di abbandonare la transizione ecologica, ma di ripensarla in chiave più flessibile e inclusiva, che tenga conto delle diversità territoriali e delle specificità locali.
È necessario un approccio che valorizzi le conoscenze tradizionali, che promuova l’innovazione tecnologica e che incentivi le pratiche agricole e forestali sostenibili, capaci di conciliare la tutela dell’ambiente con lo sviluppo economico e sociale delle comunità locali.
Il Presidente Meloni e il Commissario Castelli sollecitano, in tal senso, un cambio di rotta nell’approccio europeo, auspicando una maggiore apertura al dialogo e alla collaborazione, per costruire un futuro più sostenibile e resiliente per tutti i territori italiani e europei.
La salvaguardia del nostro patrimonio naturale e culturale passa, inevitabilmente, attraverso un ripensamento profondo delle politiche ambientali.