Dopo il trauma sismico che ha scosso l’Appennino centrale tra il 2016 e il 2017, una nuova narrazione di resilienza e rinascita si dipana attraverso i cammini lenti.
Non si tratta di una semplice ripresa economica, ma di un vero e proprio percorso di ricostruzione identitaria, un processo che vede nel turismo sostenibile e partecipativo un elemento chiave.
Il volume “I cammini della rinascita.
Tesori nascosti nell’Appennino centrale” di Chiara Giacobelli, presentato ufficialmente, incarna questa visione, offrendo un atlante di itinerari che intrecciano natura, storia e spiritualità.
L’aumento del 29% nel numero di camminatori in Italia, come evidenziato dal dossier “Italia, Paese di cammini” di Terre di mezzo, testimonia un cambiamento di paradigma nel modo di viaggiare.
Si abbandona la frenesia del turismo di massa per abbracciare un’esperienza più profonda, un viaggio interiore che si manifesta nell’immersione nel paesaggio e nella riscoperta del patrimonio culturale.
Questi cammini, quali il Cammino Francescano della Marca, la Via Lauretana, il percorso dei Cappuccini, il Cammino di San Benedetto e altri, si configurano non solo come percorsi fisici, ma come veri e propri fili che ricollegano persone e luoghi, tessuto sociale e memoria storica.
L’offerta turistica si arricchisce di elementi unici e suggestivi: il ponte tibetano di Sellano, la ciclopedonale del Nera, il Museo delle mummie di Ferentillo, le Gole del Velino, solo per citarne alcuni.
Questi luoghi, spesso marginali e trascurati, diventano fulcro di un’offerta turistica autentica, capace di valorizzare le peculiarità del territorio e di generare un impatto positivo sulle comunità locali.
Il Commissario Straordinario per il sisma, Guido Castelli, sottolinea l’importanza di sviluppare una rete di accoglienza nei 70 punti tappa identificati lungo i cammini, superando l’attuale carenza di infrastrutture ricettive.
La Ministra del Turismo, Daniela Santanchè, pone l’accento sul potenziale del “undertourism”, ossia la capacità di attrarre flussi turistici in aree meno conosciute, promuovendo un turismo che si fonda sulla creazione di legami profondi tra visitatori e territorio.
Questo approccio, oltre a generare benefici economici, favorisce la riscoperta delle tradizioni locali, la salvaguardia del patrimonio immateriale e la costruzione di un senso di appartenenza all’Appennino, un’identità condivisa che trascende le divisioni e rafforza la resilienza delle comunità.
Si tratta di un turismo che non si limita a “vedere”, ma che invita a “sentire”, a “vivere” e a contribuire attivamente alla rinascita di un territorio ferito, trasformando il viaggio in un atto di cura e di speranza.