Un cartello improvvisato, affisso all’ingresso della scuola, urla un messaggio chiaro: “Oggi non entrare”.
La bandiera palestinese ondeggia, simbolo tangibile di un’eco di sofferenza che risuona ben oltre i confini geografici.
Studenti delle scuole superiori di Ancona, giovani portatori di speranze e di un’inquietudine crescente, si uniscono allo sciopero generale indetto dalle organizzazioni sindacali di base, manifestando una profonda solidarietà con la popolazione palestinese di Gaza, teatro di una crisi umanitaria devastante.
L’iniziativa, nata dalla volontà di una coscienza collettiva studentesca in fermento, ha visto convergere ragazzi provenienti da diversi istituti cittadini.
Il liceo Rinaldini, punto di aggregazione strategico, è stato il palcoscenico iniziale di un corteo che si è poi diretto verso la facoltà di economia dell’Università Politecnica delle Marche (Univpm).
Lì, un’assemblea congiunta con studenti universitari e docenti ha rappresentato un momento di riflessione e di scambio di idee.
“Abbiamo scelto di alzarci in voce, affiancando i lavoratori dell’istruzione, per dire basta a questo genocidio e per far sentire la nostra presenza al di fuori delle aule, al di fuori dell’orario scolastico,” spiega Teodoro Palpacelli, studente del Rinaldini e attivista del collettivo studentesco Metropolis, incarnando la rabbia e la determinazione di una generazione che non si arrende di fronte all’ingiustizia.
Le sue parole non sono un semplice atto di protesta, ma una presa di posizione etica, un rifiuto di rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza altrui.
L’adesione dei docenti ha conferito all’iniziativa una valenza ancora maggiore, sottolineando il ruolo cruciale della scuola non solo come istituzione formativa, ma anche come luogo di cittadinanza attiva e di consapevolezza globale.
Romina Ramazzotti, professoressa delle scuole medie, sottolinea con forza: “Dobbiamo scioperare perché la scuola è un presidio educativo e sociale.
Aiutare, con questo gesto apparentemente piccolo, a imparare a decentrarsi e ad aprirsi a ciò che accade nel mondo è fondamentale.
” La professoressa Ramazzotti articola un concetto profondo: lo sciopero non è solo una forma di protesta politica, ma anche un esercizio di empatia, un invito alla riflessione e alla comprensione reciproca.
La parola “genocidio”, pronunciata con la dovuta gravità, non è isolata, ma si inserisce in un quadro più ampio di conflitti, violazioni dei diritti umani e ingiustizie globali.
Lo sciopero diventa così un monito, una chiamata all’azione per costruire un futuro più giusto e pacifico, un futuro in cui la solidarietà e la compassione prevalgano sull’indifferenza e sulla violenza.
Si tratta di educare alla responsabilità, di formare cittadini del mondo consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri.