La narrazione delle aree interne, ridurle a pittoreschi scorci da cartolina, rappresenta una profonda inadeguatezza, un’offesa alla loro complessità e alla resilienza delle comunità che le abitano.
Superare questa visione superficiale richiede un approccio radicale, che ponga al centro il ripristino e il potenziamento dei servizi essenziali, pilastri fondamentali per la rivitalizzazione di territori spesso marginalizzati.
Non si tratta di un intervento di “salvataggio” filantropico, ma di un investimento strategico nel futuro dell’Italia.
La carenza di infrastrutture di base – scuole, trasporti pubblici efficienti, accesso equo alle cure sanitarie – non è una questione meramente tecnica, bensì un fattore strutturale che mina la coesione sociale, accelera lo spopolamento e compromette la sostenibilità economica di intere regioni.
L’incontro tra la Ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, e il Commissario Straordinario per la Ricostruzione post-sisma 2016, Guido Castelli, solleva interrogativi cruciali.
La ricostruzione post-terremoto, pur rappresentando un’urgenza impellente, deve essere intesa come un’occasione irripetibile per ripensare il modello di sviluppo delle aree interne.
Un modello che non si limiti a ricostruire ciò che c’era, ma che promuova l’innovazione, la diversificazione economica e la creazione di opportunità di lavoro qualificate.
La sfida è complessa e multidimensionale.
Richiede una visione olistica che integri interventi infrastrutturali, politiche sociali mirate, sostegno all’imprenditoria locale e promozione del turismo sostenibile.
È necessario incentivare il ritorno dei giovani, offrendo loro percorsi formativi adeguati e opportunità di carriera.
È fondamentale valorizzare il patrimonio culturale e ambientale, trasformandolo in motore di sviluppo economico.
L’abbandono delle aree interne, percepito in passato come un dato di fatto ineluttabile, è in realtà una scelta politica, una conseguenza di priorità distorte.
Invertire questa tendenza richiede un cambiamento di paradigma, un impegno concreto da parte di tutti gli attori coinvolti: istituzioni, imprese, associazioni, cittadini.
Le aree interne non sono un problema da risolvere, ma un patrimonio da proteggere e valorizzare.
Sono custodi di saperi ancestrali, di tradizioni millenarie, di paesaggi unici.
Sono un laboratorio di sperimentazione di modelli di sviluppo alternativi, basati sulla sostenibilità, sulla resilienza, sulla comunità.
Investire nelle aree interne significa investire nel futuro dell’Italia, nella sua identità, nella sua anima.
È un atto di giustizia sociale, di responsabilità politica, di amore per la propria terra.