Antonio Donghi, l’arte cattura istanti di vita, dipingendo emozioni che danzano sulle tele in un eterno abbraccio con lo sguardo del tempo.

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12 febbraio 2024 – 20:46

La ricerca dell’equilibrio tra classicità e modernità ha segnato il percorso artistico di Antonio Donghi, figura centrale del movimento del Realismo Magico nel periodo tra le due guerre. In un contesto dominato dall’avanguardia futurista e dai sostenitori del ritorno all’ordine, Donghi ha trovato la sua dimensione artistica. La produzione del pittore romano (1897-1963) va oltre la mera rappresentazione di ambienti immobili e ambigui in un mondo senza tempo. Ciò che spicca in questa atmosfera rarefatta sono gli occhi intensi dei soggetti, che spesso fissano l’osservatore con una domanda implicita: perché siamo qui? Qual è il nostro ruolo nella società? Questo è quanto afferma Fabio Benzi, curatore della straordinaria mostra “Antonio Donghi, la magia del silenzio”, ospitata fino al 26 maggio a Palazzo Merulana a Roma. La mostra presenta 34 opere selezionate, di cui ben 16 provengono dalla collezione di Unicredit. Tre opere fanno invece parte dell’esposizione permanente dell’edificio, restituito alla città nel 2018 dalla Fondazione Cerasi come spazio espositivo e polo culturale trasversale.Secondo Benzi, Donghi era un artista estremamente colto che studiava l’intera storia dell’arte italiana fino a renderla indistinguibile nella sua pittura formale arricchita da tensioni moderne. L’amore di Donghi per il cinema e il teatro influenzava profondamente il suo modo di dipingere. Tra il 1922 e il 1923, l’artista romano cambiò radicalmente il suo stile, abbandonando la tradizione ottocentesca per abbracciare una visione completamente nuova. La svolta avvenne nel 1924 con una mostra personale presso la Galleria del fotografo futurista Anton Giulio Bragaglia, che a quel tempo documentava non solo le avanguardie artistiche ma anche altri movimenti culturali nella Roma dell’epoca.Grazie all’introduzione di un critico tedesco, Donghi ottenne riconoscimento internazionale che gli permise di esporre anche a New York, rendendolo più famoso negli Stati Uniti che in Italia. Secondo Benzi, fu proprio nella Galleria Bragaglia che Donghi trovò l’ispirazione per il cambiamento osservando i quadri di Ubaldo Oppi. Mentre Oppi rappresentava un glamour rarefatto, Donghi preferiva una popolarità più nostrana e quasi romanesca, spogliando la figurazione dei suoi ornamenti preziosi e adattandola a personaggi comuni come lavandaie, cacciatori e attori teatrali.Donghi, definito da Roberto Longhi come Gentileschiano, esprimeva una pittura caravaggesca senza ombre. Riservato e di poche parole, era un artista privo di retorica. Nella mostra è presente un ritratto equestre del Duce del 1937 in cui attira l’attenzione più il cavallo che Mussolini stesso.L’esposizione a Palazzo Merulana è anche un omaggio a Claudio Cerasi, l’imprenditore scomparso nel 2020 che, insieme alla moglie Elena, ha creato la Fondazione Cerasi. Lo spazio espositivo è l’emanazione di questa fondazione e ospita una ricca collezione di capolavori dell’arte italiana del Novecento, in particolare della Scuola Romana. Donghi riveste un ruolo particolare in questa storia d’amore per l’arte. Cerasi rimase affascinato dal dipinto “I piccoli saltimbacchi” del 1938, che vide per la prima volta nel 1985 durante una mostra a Palazzo Braschi a Roma. Nonostante provenisse da una collezione privata di New York, Cerasi decise che doveva assolutamente acquistarlo. Il quadro fece così parte della sua collezione personale e rappresentò il primo capolavoro ad essere acquisito.Due mesi prima della sua morte, Claudio Cerasi era ricoverato in clinica e confessò alla figlia Alessandra: “Ho visto un Donghi che mi fa impazz

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