La recente visita al carcere di Brissogne, condotta dalla senatrice Elisa Pirro e dalla consigliera regionale Erika Guichardaz, ha messo a fuoco un quadro complesso e urgente, che trascende la semplice constatazione di criticità operative.
L’ispezione, ben più di un controllo formale, ha rivelato una profonda disarmonia tra gli obiettivi dichiarati del sistema penitenziario – riabilitazione e reintegrazione sociale – e la realtà concreta vissuta da detenuti e personale penitenziario.
L’emergenza più rilevante non risiede solo nella carenza di agenti di Polizia Penitenziaria e del personale amministrativo, un dato ormai ampiamente noto, ma nel suo impatto devastante sulla capacità di implementare programmi formativi, lavorativi e di trattamento efficaci.
Questa carenza strutturale, acuita dalla scarsità di risorse umane dedicate, compromette la possibilità di offrire percorsi individualizzati di recupero, che tengano conto delle specifiche esigenze e storie di ogni detenuto.
Il rischio è quello di perpetuare un ciclo di marginalizzazione, producendo, anziché cittadini responsabili, individui ancora più radicati nella criminalità.
L’analisi approfondita ha inoltre evidenziato la necessità di ripensare radicalmente l’approccio alla rieducazione.
Non è sufficiente offrire corsi di formazione o attività lavorative generiche; è imprescindibile investire in programmi mirati, che promuovano l’acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro, lo sviluppo di consapevolezza personale e la responsabilizzazione individuale.
Un percorso di reinserimento sociale significativo deve necessariamente includere il sostegno psicologico, l’assistenza legale e l’orientamento professionale, elementi spesso carenti nelle strutture penitenziarie.
La problematica del personale proveniente da fuori regione, sebbene tangibile, rappresenta un sintomo di una più ampia difficoltà: la dislocazione geografica delle strutture penitenziarie, spesso situate in aree remote e marginali, rende difficile attrarre e trattenere personale qualificato.
La questione abitativa non è quindi un mero disagio logistico, ma un elemento chiave per garantire la stabilità e la professionalità del corpo di Polizia Penitenziaria, fondamentale per la sicurezza interna delle carceri e per la gestione dei detenuti.
La denuncia della senatrice Pirro e della consigliera Guichardaz non è quindi un atto di protesta sterile, ma un appello accorato a un cambio di paradigma.
È necessario un investimento significativo, non solo economico, ma soprattutto di visione, che ponga al centro del sistema penitenziario la dignità della persona detenuta e il diritto a una seconda opportunità.
È urgente avviare un dibattito pubblico costruttivo, coinvolgendo istituzioni, esperti, associazioni del terzo settore e, soprattutto, le persone che vivono quotidianamente all’interno delle carceri, per elaborare soluzioni innovative e sostenibili, in grado di restituire al territorio un sistema penitenziario all’altezza delle sfide del nostro tempo.
Il futuro della legalità e della sicurezza sociale dipende anche da come intendiamo gestire e trasformare il nostro sistema penitenziario.