L’aula della Corte di Cassazione è teatro di un’udienza di importanza cruciale per la giustizia valdostana: il processo “Geenna”, che indaga sulle ramificazioni dell’infiltrazione mafiosa nel tessuto socio-economico della Valle d’Aosta.
La discussione verte sull’esito del procedimento per quattro imputati, i quali hanno optato per il rito ordinario, un percorso processuale che offre maggiori garanzie di approfondimento e revisione delle prove rispetto al rito abbreviato.
La Procura Generale di Torino, attivamente coinvolta nel caso, ha presentato un ricorso in Cassazione volto a contestare la sentenza di assoluzione di Monica Carcea, figura di spicco nella politica locale, ex assessora comunale di Saint-Pierre, accusata di concorso esterno in associazione a delinquere.
La sentenza di assoluzione, emessa il 30 settembre dell’anno precedente in appello bis, è ora sottoposta al vaglio della più alta giurisdizione italiana, sollevando interrogativi sulla portata della collaborazione tra istituzioni locali e organizzazioni criminali.
Parallelamente alla richiesta di annullamento e rinvio per Carcea, la Procura Generale ha espresso pareri contrari ai ricorsi presentati dalle difese degli altri tre imputati.
Antonio Raso, ristoratore aostano, è stato condannato a otto anni di reclusione per associazione mafiosa, una sentenza che riflette la presunta capacità di un imprenditore locale di fungere da collante e facilitatore per attività illecite.
Alessandro Giachino, ex dipendente di una casa da gioco di Saint-Vincent, e Nicola Prettico, ex consigliere comunale di Aosta dell’Uv, hanno ricevuto condanne a sei anni e otto mesi, anch’essi per associazione mafiosa.
Questi verdetto suggeriscono un’intricata rete di relazioni che si estende tra il mondo del gioco d’azzardo, della politica e dell’imprenditoria, con implicazioni potenzialmente gravi per l’immagine e la reputazione della Valle d’Aosta.
La decisione dei giudici della Cassazione rappresenta un punto di svolta.
Se i ricorsi delle difese di Raso, Giachino e Prettico dovessero essere rigettati, le condanne si trasformerebbero in sentenze definitive, segnando un passo importante nella lotta alla criminalità organizzata nella regione.
Al contrario, l’accoglimento dei ricorsi potrebbe aprire la strada a ulteriori gradi di giudizio e a una revisione più approfondita delle accuse e delle prove a loro carico.
L’attesa per la sentenza, prevista nelle prossime ore, è carica di tensione e di speranza per una giustizia che sappia fare luce su un capitolo oscuro della storia valdostana e contribuire a restituire legalità e fiducia nella regione.
La vicenda Geenna non è solo un processo, ma un’occasione per riflettere sulla fragilità delle istituzioni e sulla necessità di rafforzare i meccanismi di controllo e prevenzione per contrastare efficacemente l’infiltrazione mafiosa.