La recente celebrazione dell’82° anniversario della Dichiarazione di Chivasso offre un’occasione cruciale per riflettere su un atto di profonda lungimiranza, compiuto in un contesto storico di estrema difficoltà.
La Dichiarazione, siglata il 19 dicembre 1943 in un incontro clandestino che vide protagonisti Émile Chanoux ed Ernest Page per la Valle d’Aosta, affiancati da Osvaldo Coïsson, Gustavo Malan, Giorgio Peyronel e Mario Rollier in rappresentanza delle valli valdesi, non fu una mera formalità, ma una dichiarazione programmatica che gettò le basi per una concezione inedita dello Stato.
In un’epoca dominata da conflitti e da un’autorità centrale spesso percepita come distante e oppressiva, i firmatari proposero un modello di convivenza fondato sul riconoscimento della pluralità culturale e amministrativa del territorio alpino.
La visione che emerge è quella di un’entità statale non omogenea, bensì un mosaico di autonomie, comunità locali e minoranze linguistiche, le cui specificità dovevano essere preservate e valorizzate.
Questo approccio, dirompente per l’epoca, rappresentava una risposta pragmatica alla complessità delle realtà montane, caratterizzate da tradizioni secolari, identità locali forti e una peculiare relazione con il territorio.
La Dichiarazione di Chivasso trascende la mera rivendicazione di diritti; si configura come un progetto politico volto a costruire un nuovo patto sociale.
L’Autonomia, così come concepita, non è intesa come un beneficio esclusivo, ma come un onere, un impegno a esercitare la responsabilità di gestione delle risorse territoriali con competenza e lungimiranza, nell’interesse del bene comune.
Non si tratta di un privilegio da difendere ad ogni costo, ma di un mandato a garantire servizi efficienti, a promuovere lo sviluppo sostenibile e a tutelare il patrimonio culturale e ambientale.
Riflettere su questo anniversario significa, dunque, riaccendere un dibattito essenziale: quello sulla necessità di una governance multilivello, capace di coniugare l’efficacia dell’azione pubblica con la tutela delle identità locali.
Significa interrogarsi sulla coerenza tra le aspirazioni espresse dalla Dichiarazione e le scelte politiche attuali.
Richiede, soprattutto, il coraggio di perseguire un’Autonomia non superficiale, ma realmente fondata sulla partecipazione, sulla trasparenza e sulla responsabilità, un’Autonomia che sia all’altezza delle sfide del futuro e capace di rispondere alle esigenze delle persone che vivono e operano in questi territori.
La memoria di Chivasso, quindi, non è solo un omaggio al passato, ma un invito a costruire un futuro più giusto, equo e sostenibile.







