Il caso che ha scosso la Valle d’Aosta, legato alla presunta infiltrazione della ‘ndrangheta nel tessuto regionale, conosce un’ulteriore, significativa svolta.
La Suprema Corte di Cassazione, attraverso la sua prima sezione penale, ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza d’appello-bis, denominata “Geenna”, che aveva già segnato una tappa cruciale nel processo.
Questa decisione giudiziaria apre la strada a un terzo grado di giudizio d’appello, ribaltando parzialmente il quadro precedentemente delineato e riaprendo un dibattito complesso e delicato.
Il procedimento giudiziario, che ha coinvolto figure di spicco della comunità aostana, riguardava l’accusa di associazione di tipo mafioso, un’imputazione particolarmente grave che evidenzia la presunta capacità della criminalità organizzata di radicarsi e operare nel territorio.
Antonio Raso, ristoratore locale, precedentemente condannato a otto anni di reclusione nell’appello bis, insieme all’ex consigliere comunale Nicola Prettico e ad Alessandro Giachino, entrambi con una pena di sei anni e otto mesi, si troveranno a dover affrontare nuovamente l’accusa in un nuovo processo.
La decisione della Cassazione non si limita a ridefinire il destino di questi imputati.
Una componente fondamentale della sentenza di annullamento con rinvio riguarda anche l’assoluzione di Monica Carcea, ex assessora comunale di Saint-Pierre.
Questa figura, fino ad allora ritenuta estranea alle accuse, dovrà ora essere nuovamente valutata, aprendo la possibilità di una sua possibile incriminazione o, al contrario, confermando la sua innocenza.
La complessità del caso, che si estende per anni, riflette la difficoltà di provare l’appartenenza a un’associazione di tipo mafioso, un reato che richiede la dimostrazione di una struttura gerarchica, una coesione interna e l’esistenza di regole precise.
La sentenza della Cassazione, sottolineando la necessità di una nuova valutazione delle prove e di una nuova interpretazione degli elementi a disposizione, indica che la Corte ha individuato delle lacune o delle incongruenze nella precedente sentenza d’appello.
Questo annullamento con rinvio non solo riapre un processo giudiziario, ma solleva anche interrogativi più ampi sulla capacità dello Stato di contrastare la criminalità organizzata in regioni considerate tradizionalmente meno esposte a tali fenomeni.
La presenza della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta, se confermata, rappresenterebbe una grave spesa per la legalità e per il tessuto sociale regionale, e la sentenza della Cassazione, con la sua decisione di approfondire le indagini e di rivalutare le posizioni degli imputati, rappresenta un segnale di volontà di far luce su questa delicata vicenda e di perseguire con determinazione i responsabili.
Il nuovo processo d’appello sarà quindi cruciale per accertare i fatti, chiarire i ruoli e restituire giustizia alla comunità aostana.






