Un’articolata rete di supporto, tessuta attorno alla figura di due pericolosi esponenti dell’organizzazione ‘ndranghetistica di Cirò Marina, ha subito un duro colpo grazie a un’operazione dei Carabinieri di Crotone, culminata con l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sette individui.
L’inchiesta, avviata nel luglio 2024 e condotta con metodi investigativi complessi, ha svelato un sistema strutturato volto a eludere il sistema giudiziario e a garantire la clandestinità di Carmine Siena, 43 anni, e Antonio Anania, 25 anni, entrambi condannati in via definitiva dalla Corte di Cassazione nel 2024 per associazione di tipo mafioso, nell’ambito del processo abbreviato derivante dall’operazione “Stige”.
Siena e Anania, originari di Cirò Marina, dovevano scontare rispettivamente pene residue di 3 anni e 25 giorni e 5 anni e 2 mesi di reclusione, risultando latitanti per un periodo di circa un anno.
La loro cattura, avvenuta a distanza di alcuni mesi – Siena il 6 agosto 2024, Anania il 19 novembre 2024 – ha concluso solo una parte della vicenda, in quanto le indagini hanno portato alla luce una fitta rete di complici che li sosteneva attivamente.
Le attività di supporto, scrupolosamente documentate dagli inquirenti, configurano un chiaro tentativo di ostacolare l’applicazione della pena.
Tra queste, si segnala la sistematica fornitura di carte telefoniche intestate a prestanomi, un meccanismo volto a schermare le comunicazioni dei latitanti dalle intercettazioni e a preservare i canali di collegamento con l’organizzazione criminale.
Questo aspetto evidenzia la sofisticazione dell’operazione e la volontà di mantenere una struttura di comando anche al di fuori del sistema carcerario.
Le accuse mosse agli indagati spaziano dalla “procurata inosservanza della pena”, un reato già di per sé grave, all’aggravante derivante dal favorire l’attività di un’associazione mafiosa.
Si ipotizza inoltre la configurazione di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, sottolineando la natura strutturata e organizzata del sistema di supporto alla latitanza.
Questo implica che i sette individui coinvolti non agivano in modo isolato, ma facevano parte di un sistema più ampio volto a proteggere gli esponenti dell’organizzazione criminale.
La gravità delle accuse ha portato l’Autorità Giudiziaria a disporre la custodia cautelare in carcere per cinque degli indagati, mentre per altri due sono stati applicati gli arresti domiciliari.
L’operazione, richiesta dalla DDA di Catanzaro e coordinata dal Giudice per le Indagini Preliminari, rappresenta un significativo successo nella lotta alla criminalità organizzata e sottolinea l’importanza di un approccio investigativo capillare e mirato per smantellare le strutture di supporto che consentono ai mafiosi di eludere la giustizia.
La vicenda pone l’accento sulla necessità di un costante monitoraggio e di una repressione rigorosa nei confronti di chi, consapevolmente, contribuisce a garantire la libertà di persone condannate per reati di estrema gravità.








