Questa mattina a Trieste, un corteo silenzioso e carico di dolore ha invaso l’area antistante il tribunale, testimoniando la persistente richiesta di giustizia per Liliana Resinovich, la donna scomparsa nel dicembre 2021 e la cui tragica scoperta, nel parco di San Giovanni, ha lasciato un segno indelebile nella comunità.
Familiari, amici e sostenitori, riuniti in un sit-in pacifico ma determinato, hanno esposto immagini di Liliana, affiancate da cartelli che urlano la necessità di verità e giustizia.
La mobilitazione, organizzata per mantenere viva la memoria di Liliana e per sollecitare un avanzamento nelle indagini, ha visto la partecipazione emotiva del fratello, Sergio Resinovich.
Le sue parole, velate di amarezza e frustrazione, si sono concentrate sulla figura dell’uomo che, recentemente, ha affermato di aver fornito sacchi neri a Liliana, un dettaglio che, a suo dire, introduce elementi inquietanti e apparentemente incongruenti con l’inchiesta in corso.
Questa testimonianza, considerata dal fratello con profonda diffidenza, ha acceso un nuovo interrogativo sulla ricostruzione degli eventi che hanno preceduto la scomparsa.
Accanto ai familiari, presente anche Claudio Sterpin, amico stretto di Liliana, portavoce di un sentimento diffuso che reclama rispetto e dignità per la vittima.
Il cartello esposto da Sterpin evidenziava la natura pacifica e civile della protesta, un monito a evitare strumentalizzazioni e a concentrarsi sulla ricerca della verità.
La mobilitazione si pone come atto di risarcimento morale per Liliana, una cittadina italiana le cui circostanze della morte suggeriscono, secondo elementi di prova sempre più circostanziati, un atto violento e premeditato.
Circa trenta persone hanno partecipato all’azione di protesta, un numero che, pur non essendo numeroso, riflette l’intensità del sentimento di ingiustizia che pervade la comunità triestina.
Diversi cartelli recavano la scritta “Vogliamo un processo”, un chiaro segnale di impazienza e la richiesta di un’accelerazione nei tempi giudiziari.
L’appunto “La verità è già nelle carte” suggerisce una convinzione radicata, tra i partecipanti, che gli elementi necessari per l’accertamento della verità siano già in possesso degli inquirenti, sollecitando un intervento decisivo per trasformare sospetti e indizi in una sentenza definitiva.
Il sit-in, dunque, si configura come un appuntamento non solo di lutto, ma anche di speranza e di vigile attesa di giustizia.






