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martedì 21 Ottobre 2025

Cagliari, sentenza Raduano: intrecci di corruzione e metodo mafioso

Il Tribunale di Cagliari ha emesso una sentenza di ampio respiro nel processo in abbreviato che ha visto coinvolto Marco Raduano, figura apicale del clan mafioso con base a Vieste, e una rete complessa di individui, evidenziando un intreccio pervasivo di corruzione e collusione all’interno del sistema penitenziario e nel tessuto sociale circostante.
La decisione, che ha portato a dieci condanne, due assoluzioni e il riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso, getta luce su un’organizzazione criminale capace di sfruttare vulnerabilità strutturali e relazioni di dipendenza per orchestrare una fuga audace dal carcere di Badu ‘e Carros.

Raduano, divenuto collaboratore di giustizia dopo la sua cattura in Corsica, ha ricevuto una condanna a due anni e sei mesi di reclusione, sebbene la Procura distrettuale avesse inizialmente richiesto una pena più severa, pari a un anno e otto mesi.
Questa discrepanza suggerisce una valutazione complessa dei suoi contributi all’inchiesta e un’analisi ponderata del suo ruolo nell’ambito della ricostruzione dinamiche criminali.

Le assoluzioni di Salvatore Deledda, agente penitenziario originario di Siniscola, e Mauro Gusinu, assoluzioni contestate inizialmente con richieste di condanna a cinque anni per corruzione aggravata, rappresentano un elemento significativo del verdetto.
Queste assoluzioni, benché inattese, sottolineano la difficoltà di provare al di là di ogni ragionevole dubbio l’implicazione diretta di questi soggetti nell’organizzazione della fuga.
La complessità dell’indagine ha evidentemente reso difficile definire con certezza i confini della loro responsabilità.
L’ampio spettro di condanne – che coinvolgono Martino Contu, Marco Rinaldi, Tommaso Ruffert, Antonio Gusinu, Elio Gusinu, Marco Furfaro, Daniele Peron, Massimiliano Demontis e Gianluigi Troiano, con pene variabili da un anno e otto mesi a cinque anni – rivela la dimensione estesa della rete di supporto che ha permesso la fuga di Raduano.

Questi individui, con ruoli diversi all’interno della struttura collusiva, hanno agito come anelli cruciali in una catena di complicità che coinvolgeva allevatori, fiancheggiatori e figure inserite nel sistema carcerario.
La fuga di Raduano, immortalata dalle telecamere di sorveglianza mentre il boss si calava con lenzuola annodate, non fu un atto isolato, ma il culmine di un’operazione meticolosamente pianificata che ha sfruttato debolezze nel sistema di sicurezza e relazioni compromesse.

La Procura ha ricostruito un quadro inquietante, delineando una fitta trama di rapporti di dipendenza e favori che hanno permesso al clan di Vieste di estendere la sua influenza oltre le sbarre, infiltrando il sistema penitenziario e annidando nel tessuto sociale locale.

Il riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso sottolinea la natura sistemica e pervasiva della criminalità organizzata, capace di manipolare istituzioni e individui per raggiungere i propri obiettivi.
L’inchiesta, e la sentenza conseguente, rappresenta un monito sull’importanza di rafforzare i controlli, promuovere la trasparenza e contrastare la corruzione a tutti i livelli per preservare l’integrità del sistema giudiziario e la sicurezza della comunità.

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