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martedì 4 Novembre 2025

Kercher, Sollecito: l’ombra del pregiudizio non svanisce

A distanza di diciotto anni dalla tragica scomparsa di Meredith Kercher, una questione spinosa emerge con nuova forza: la persistenza di un pregiudizio sociale che si insinua oltre i confini di qualsiasi sentenza.
Raffaele Sollecito, figura centrale nel doloroso caso di Perugia, lancia un grido d’allarme, denunciando una forma di condanna non ufficiale, un fardello psicologico che accompagna chi, pur assolto, resta segnato dall’ombra del sospetto.

Il percorso di Sollecito è un monito sulla fragilità della reputazione e sulla difficoltà di cancellare un’etichetta affibbiata dall’opinione pubblica, anche quando la giustizia, dopo un lungo e travagliato iter, ristabilisce l’innocenza.

Quattro anni di detenzione, otto di processi segnati da ricostruzioni processuali controverse, eppure, il dubbio persiste, nutrito da sguardi inquisitori, commenti al vetriolo e, come sottolinea lo stesso Sollecito, dall’inerzia delle istituzioni nel riconoscere un adeguato risarcimento.
La sua vicenda si intreccia con quella di Alberto Stasi, vittima di un errore giudiziario nell’ambito del caso di Garlasco, un parallelo che illumina una realtà inquietante: il peso di un marchio infamante che sopravvive al verdetto, perpetuando un senso di esclusione e difficoltà di reinserimento sociale.
La giustizia, pur nel suo complesso, si rivela spesso incapace di lenire le ferite emotive e sociali causate da accuse infondate.

Sollecito, oggi professionista affermato nel campo dell’architettura cloud, ha ricostruito la sua esistenza professionale, trovando rifugio nella libertà del lavoro da remoto e nella possibilità di viaggiare.

Tuttavia, l’ombra del passato rimane una compagna costante, una sensazione di inadeguatezza che nega la pienezza del suo ritorno alla normalità.

La sua esperienza pone una domanda cruciale: come garantire un effettivo diritto all’oblio per chi è stato ingiustamente accusato e assolto?La riflessione di Sollecito non si limita alla sua personale vicenda.

Essa si configura come un appello a una profonda riforma non solo del sistema giudiziario, ma anche della memoria collettiva.
È necessario promuovere una cultura della responsabilità, che incoraggi l’analisi critica delle informazioni e la sospensione del giudizio affrettato.
La società deve imparare a distinguere tra la presunzione di innocenza e la certezza dell’innocenza, riconoscendo che l’assoluzione, pur essendo un traguardo importante, non è sufficiente a cancellare il danno subito da chi è stato accusato ingiustamente.

Serve un impegno concreto per favorire il reinserimento sociale e professionale di coloro che hanno pagato un prezzo troppo alto per un errore giudiziario, affinché possano finalmente liberarsi del fardello di un’accusa che la legge ha ormai smentito.
Solo allora si potrà parlare di una giustizia veramente equa e riparatrice.

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