A cinquant’anni dall’emanazione della legge 354 del 1975, pietra miliare per l’ordinamento penitenziario italiano, emerge con chiarezza la dissonanza tra l’aspirazione originaria e la realtà concreta che si presenta.
L’incontro tra Roberto Cavalieri, Garante regionale dei detenuti dell’Emilia-Romagna, e Silvio Di Gregorio, Provveditore dell’amministrazione penitenziaria per Emilia-Romagna e Marche, ha offerto un’occasione per riflettere su questa dicotomia, sottolineando come l’eredità normativa, pur gravida di intuizioni culturali ancora estremamente rilevanti, si scontrì con l’inadeguata implementazione e con una crescente pressione demografica all’interno delle strutture carcerarie.
La legge del ’75, infatti, inaugurò un approccio volto alla riabilitazione del detenuto, ponendo al centro la persona e promuovendo percorsi individualizzati.
Questa visione, lungi dall’essere superata, rischia di essere soffocata dal sovraffollamento carcerario.
In Emilia-Romagna, la situazione è particolarmente critica: il numero di detenuti ha superato le 4.000 unità, ben al di sopra della capienza regolamentare di poco più di 3.000.
L’incremento rispetto al 2022 è allarmante, quasi due carceri in più a servizio di una popolazione detenuta in sofferenza.
L’istituto di Bologna, in particolare, è un esempio emblematico di questa emergenza, con 818 detenuti ammassati in spazi progettati per soli 507.
Questo scenario drammatico si traduce in un aumento del disagio, dell’insicurezza e, tragicamente, in un incremento dei suicidi, otto solo dall’inizio dell’anno nella regione.
La risposta a questa crisi non può essere confinata all’interno delle mura carcerarie.
È imperativo un intervento sinergico che coinvolga territori, amministrazioni locali e il sistema di welfare.
L’Emilia-Romagna, con la sua consolidata rete di servizi sociali, ha il potenziale per agire in questa direzione.
Attualmente, quasi 500 detenuti con meno di quattro anni di pena residua potrebbero beneficiare di misure alternative alla detenzione, attraverso percorsi di reinserimento sociale calibrati sulle loro specifiche esigenze e potenzialità.
Si tratta di un’opportunità non solo per alleggerire la pressione sulle strutture penitenziarie, ma anche per offrire a questi individui una possibilità concreta di riscatto e di ri-costruzione personale.
L’amministrazione penitenziaria, da parte sua, sta cercando di innovare l’offerta formativa all’interno delle carceri.
Nuovi poli formativi stanno nascendo, con percorsi professionalizzanti nel settore della gastronomia, della meccanica e del packaging, affiancati a quelli universitari già attivi in diverse sedi regionali.
Queste iniziative, pur lodevoli, necessitano di un ampliamento e di un consolidamento, affiancati da un potenziamento dei servizi di assistenza psicologica e sociale, fondamentali per affrontare le complesse dinamiche che caratterizzano la vita carceraria.
Il convegno dedicato al cinquantesimo anniversario della legge 354, in programma il 5 dicembre, rappresenta un’occasione importante per approfondire le sfide attuali, raccogliere testimonianze e proporre soluzioni concrete, con l’obiettivo di rendere pienamente operativa una legge che, a cinquant’anni dalla sua emanazione, continua a ispirare un modello penitenziario improntato alla riabilitazione e alla reintegrazione sociale.
La sua piena attuazione è un imperativo etico e un investimento nel futuro della nostra società.






