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martedì 4 Novembre 2025

Cavallini torna in cella: svolta nel caso Bologna

Il ritorno in cella di Gilberto Cavallini, 73 anni, ex membro del gruppo neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), ha segnato una svolta significativa nel lungo e controverso percorso giudiziario legato alla strage della stazione di Bologna.
L’uomo, condannato in via definitiva all’ergastolo per il tragico attentato del 2 agosto 1980, ha rientrato nel carcere di Terni la sera di martedì, a seguito della revoca della semilibertà concessagli nel 2017.

La decisione, emessa dal magistrato di sorveglianza di Spoleto, risponde ad una richiesta formale della Procura Generale di Bologna, innescata dalla recente sentenza della Corte d’Assise d’Appello.
Quest’ultima, nel ridefinire le pene accessorie, ha aumentato gli anni di isolamento da scontare a tre, aggiungendone uno ulteriore in seguito alla più recente condanna.
Questa necessità di isolamento, secondo il giudice, si configura come elemento incompatibile con i benefici di una regime di semilibertà.

La concessione della semilibertà nel 2017 aveva permesso a Cavallini di trascorrere le ore diurne al di fuori del carcere, svolgendo un’attività lavorativa come contabile.

L’aver affidato a un uomo condannato per terrorismo una mansione che implicava la gestione di risorse economiche aveva suscitato, fin da subito, forti polemiche e interrogativi sulla delicatezza dell’equilibrio tra riabilitazione del detenuto e rispetto delle vittime e della collettività.
La vicenda di Cavallini incarna una profonda riflessione sulla giustizia penale, sulla pena come strumento di riabilitazione e sulla necessità di bilanciare i diritti del detenuto con la tutela della sicurezza pubblica e il diritto alla memoria delle vittime.

La revoca della semilibertà, quindi, non è solo una decisione legata alla rigore della legge, ma anche un atto simbolico che ribadisce l’importanza di non dimenticare le vittime della strage di Bologna e la gravità dei crimini commessi.

La nuova fase di isolamento rappresenta un ritorno ad una condizione detentiva più severa, che solleva interrogativi sul percorso di reinserimento sociale di un individuo coinvolto in atti di terrorismo di tale portata e sulla complessità di conciliare il rispetto delle norme giuridiche con il dolore e la ricerca di giustizia delle famiglie delle vittime.

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