martedì 14 Ottobre 2025
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World of Plenty: Fame, Arte e Coscienza a Faenza

L’opera “World of Plenty” di Itamar Gilboa, esposta al Mic di Faenza (Ravenna) dal 4 ottobre al 23 novembre nell’ambito della Giornata del Contemporaneo, non è semplicemente un’installazione artistica, ma un’immersione profonda in una contraddizione stridente: l’opulenza globale convive con una carenza alimentare diffusa e devastante.

L’artista, nato ad Amsterdam nel 1973, ha concepito il progetto nel 2020, un periodo già segnato da emergenze alimentari, ma che oggi, con le drammatiche immagini provenienti da Sudan, Haiti, Mali, Repubblica Democratica del Congo e Gaza, si presenta con una gravità inaccettabile.

L’installazione si erge come un imperativo morale, un tentativo di scardinare la rassegnazione e la normalizzazione di una realtà che dovrebbe indignare.
Gilboa, con un approccio multidisciplinare che fonde scultura ceramica, video e tecnologie di neuroscienza, esplora la fame in una sua accezione olistica: fisica, neurologica e socio-politica.
“World of Plenty” non è un’esposizione passiva, ma un invito all’azione, un’esortazione a confrontarsi con la sofferenza di milioni di persone, con la perdita quotidiana di vite umane e con le strutture di potere che perpetuano la disuguaglianza.
Il nucleo centrale dell’opera, curata da Alessandra Laitempergher, è costituito da duecentocinquantasei sculture in ceramica, una cifra angosciante che corrisponde al numero di decessi per fame ogni quindici minuti – un intervallo di tempo paragonabile alla durata di un pasto frettoloso, di una pausa lavorativa o di una visita a un museo.

La scelta di rappresentare cellule cerebrali non è casuale; Gilboa utilizza dati ottenuti tramite risonanza magnetica funzionale, registrando l’attività cerebrale propria durante episodi simulati di fame.

Questi dati vengono elaborati in modelli tridimensionali, prima stampati in 3D e poi trasformati in sculture ceramiche.
Le sculture non sono esposte su supporti standardizzati; poggiano su piastrelle realizzate a mano, che riproducono sezioni del cervello dell’artista.
Questa scelta simbolica vuole evocare il collasso sociale derivante dalle disuguaglianze, suggerendo che la fame non è solo una crisi alimentare, ma anche una frattura profonda nella coscienza collettiva e nella capacità di empatia.
L’opera, nel suo complesso, interroga la nostra responsabilità individuale e collettiva di fronte a una tragedia globale, offrendo non una soluzione facile, ma un potente stimolo alla riflessione e all’azione.

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