Il caso Cinzia Pinna, la 33enne castelsarda trovata senza vita nella tenuta di ConcaEntosa, continua a svelare dettagli inquietanti, mentre Emanuele Ragnedda, l’imprenditore vitivinicolo 41enne indagato per l’omicidio, si trova ricoverato in ospedale dopo un tentativo di autolesionismo.
Un’operazione complessa, condotta dal Ris dei Carabinieri di Cagliari, è tornata nella tenuta, supportata da mezzi di Forestas per una meticolosa perquisizione, in presenza dei legali di tutte le parti coinvolte.
L’obiettivo primario è ricostruire la dinamica dei fatti che hanno portato alla morte di Cinzia Pinna, non solo durante il presunto momento dell’omicidio, avvenuto tra l’11 e il 12 settembre, ma anche nelle ore successive.
Un elemento cruciale dell’indagine riguarda la scomparsa di effetti personali della vittima, tra cui il telefono cellulare, e il tentativo, presumibilmente da parte di Ragnedda, di occultare il corpo.
Le ipotesi investigative si concentrano ora su un possibile piano per gettare il cadavere in mare, forse dalle scogliere iconiche di Capo Ferro, nel lusso sfrenato di Porto Cervo, suggerendo una disperazione e una premeditazione che ampliano la gravità del gesto.
Il sopralluogo previsto sullo yacht di famiglia, il “Nikitai”, ormeggiato a Cannigione, rappresenta un tassello significativo.
L’utilizzo del tender per raggiungere Baja Sardinia, localita’ dove Ragnedda cercò rifugio prima di essere rintracciato dai Carabinieri, potrebbe fornire elementi chiave per comprendere le sue intenzioni e i suoi movimenti.
L’inchiesta si estende ora alla ricerca di complici, individui che avrebbero assistito l’indagato nella rimozione di tracce ematiche e nell’occultamento di oggetti appartenuti alla Pinna.
Attualmente, Luca Franciosi, 26enne manutentore stagionale, e Rosa Maria Elvo, 50enne ristoratrice di San Pantaleo, sono formalmente indagati per favoreggiamento, ma l’elenco potrebbe presto allungarsi, indicando una rete di relazioni e un coinvolgimento più ampio di quanto inizialmente ipotizzato.
La questione centrale è se questi presunti complici abbiano agito consapevolmente, e in quale misura, contribuendo a ostacolare le indagini e a proteggere l’autore del presunto omicidio.
L’autolesionismo di Ragnedda complica ulteriormente la situazione, sollevando interrogativi sulla sua stabilità emotiva e sulla sua volontà di collaborare con le autorità.
Il caso Pinna si presenta quindi come un intricato puzzle di segreti, omissioni e possibili depistaggi, che solo un’indagine approfondita e meticolosa potrà dirimere.