Sanità penitenziaria in Sardegna: un’ombra di trasparenza e un diritto negato?L’accesso alla salute è un diritto costituzionale inalienabile, un principio che dovrebbe permeare ogni ambito della società, inclusi gli istituti penitenziari. Tuttavia, un’indagine approfondita condotta dall’associazione Luca Coscioni solleva un velo di preoccupazione sulla reale implementazione di questo diritto nelle carceri sarde, rivelando un panorama frammentato, opaco e spesso inadeguato. L’inchiesta, basata su una richiesta formale di trasparenza inviata alle Aziende Sanitarie Locali (ASL) regionali, mette a nudo una carenza strutturale di accountability e una potenziale compromissione del benessere dei detenuti.La risposta delle ASL è stata disomogenea e, in molti casi, insufficiente. L’assenza di dati completi e dettagliati, la mancanza di report di ispezione e la difficoltà nell’ottenere informazioni concrete rendono estremamente arduo valutare se gli standard minimi di assistenza sanitaria vengano effettivamente garantiti. A Sassari, ad esempio, la ASL 1 ha fornito una descrizione superficiale della struttura e del servizio sanitario, priva di elementi cruciali per una valutazione oggettiva. Similmente, a Oristano, la ASL 5 si è limitata a una relazione annuale del medico responsabile, che, pur evidenziando la cronica carenza di personale medico, mascherava un problema più profondo: il ricorso a liberi professionisti, una pratica che, pur essendo diffusa a livello nazionale, segnala una precarietà strutturale e un’emergenza gestita con soluzioni provvisorie.La ASL 2 della Gallura, la ASL 4 dell’Ogliastra e la ASL 8 di Cagliari hanno addirittura omesso di rispondere alla richiesta di trasparenza, lasciando ampie porzioni del sistema penitenziario sardo completamente al di fuori di qualsiasi forma di monitoraggio indipendente. Questa assenza di risposta solleva seri interrogativi sulla volontà delle istituzioni di garantire il diritto alla salute dei detenuti e sulla loro disponibilità a rendere conto del proprio operato.Anche laddove sono state fornite informazioni, come nel caso della ASL 3 di Nuoro, che ha allegato analisi delle acque e protocolli di prevenzione del suicidio, persistono lacune significative. La mancanza di indicazioni sui sopralluoghi, fondamentali per una verifica puntuale delle condizioni reali, compromette la validità della documentazione presentata. Nella casa di reclusione di Arbus, la ASL 6 del Medio Campidano, pur attestando il rispetto degli standard igienici, ha rilevato carenze organizzative e di attrezzature mediche che negano un’erogazione efficiente ed efficace del servizio.La situazione delineata non si limita a una mera questione burocratica o amministrativa; essa tocca direttamente la dignità umana e il diritto fondamentale alla salute dei detenuti. Un sistema sanitario penitenziario inadeguato non solo compromette il benessere fisico e psichico dei carcerati, ma rischia di acuire tensioni sociali, aumentare il rischio di recidive e minare la fiducia nei confronti delle istituzioni. È imperativo che le autorità competenti si assumano la responsabilità di garantire la trasparenza, l’efficienza e la qualità dell’assistenza sanitaria penitenziaria in Sardegna, assicurando che il diritto alla salute sia un diritto effettivo e non solo una promessa sulla carta. Si rende necessario un cambio di rotta, che veda un’azione concreta per colmare le lacune individuate e promuovere una cultura della responsabilità e della trasparenza all’interno del sistema penitenziario.
Sanità penitenziaria in Sardegna: ombra sulla trasparenza e diritti negati.
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