La questione giuridica sottoposta all’attenzione della Corte Costituzionale verte su un conflitto di attribuzione tra poteri che solleva interrogativi fondamentali sull’autonomia regionale e i limiti all’esercizio del potere giudiziario in relazione alla governance di una Regione.
L’atto impugnato, che determina la decadenza del Presidente della Regione Sardegna e, di fatto, la dissoluzione di tutti gli organi regionali, è contestato dall’amministrazione regionale, rappresentata dagli avvocati Omar Chessa e Antonio Saitta, come lesivo di competenze regionali costituzionalmente garantite.
La sostanza della contestazione risiede nella percezione di un’eccessiva intrusione del potere giudiziario in ambiti riservati all’autonomia legislativa e amministrativa della Regione Sardegna.
La potenziale conferma della decisione, se accolta, implicherebbe l’indizione di nuove elezioni regionali, con conseguenze dirompenti per la continuità amministrativa, l’operato degli organi regionali e la stabilità politica della comunità sarda.
L’avvocato Chessa ha evidenziato come la decadenza imposta interrompa arbitrariamente il corso dell’azione amministrativa e comprometta l’esercizio delle funzioni regionali, configurando una menomazione sostanziale dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione.
Un elemento chiave della difesa regionale è la contestazione dell’applicazione della legge 1 del 1994 in relazione al Presidente eletto.
Tale normativa, originariamente concepita in un contesto pre-elezione diretta del Presidente di Regione, non può, a loro avviso, trovare applicazione in una situazione evoluta, in cui la figura del Presidente eletto direttamente dal corpo elettorale assume una rilevanza costituzionale maggiore.
L’avvocato Antonio Saitta ha inoltre contestato il ragionamento espresso nella sentenza del Tribunale di Cagliari, che, pur riconoscendo formalmente la competenza del Consiglio Regionale a deliberare sulla decadenza, affida al Tribunale il compito di vagliare le contestazioni.
Questa impostazione, secondo la difesa, rappresenta un’invasione di potere, una compressione del ruolo del Consiglio Regionale, in cui le competenze formali vengono riconosciute ma sostanzialmente eluse.
Si configura, quindi, un’alterazione dell’equilibrio istituzionale, un’erosione del principio di separazione dei poteri.
La richiesta della difesa regionale è chiara: l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione del 20 dicembre 2024.
Si tratta di un’azione volta a riaffermare la salvaguardia dell’autonomia regionale e a ristabilire un corretto assetto dei rapporti tra i poteri dello Stato.
In contrasto con questa prospettiva, l’Avvocatura dello Stato ha sollevato eccezioni di ammissibilità del ricorso, adducendo la mancanza di un carattere intersoggettivo.
L’avvocato Fabrizio Fedeli ha argomentato che la legge 1 del 1994 definisce i collegi di garanzia come organi regionali dal punto di vista funzionale, attribuendo loro compiti e responsabilità che li inquadrano all’interno della struttura amministrativa regionale.
Questa interpretazione, se accolta, legittimerebbe l’intervento del potere giudiziario in ambiti che, a detta della difesa regionale, rientrano nella sfera di autonomia costituzionale della Regione Sardegna.
La discussione in corso non si limita a una mera valutazione della legittimità di una specifica ordinanza, ma apre un dibattito più ampio e complesso sulla natura del rapporto tra Stato e Regioni, sulla ripartizione delle competenze e sui limiti all’esercizio del potere giudiziario in relazione alla tutela dell’autonomia regionale.
La decisione della Corte Costituzionale avrà, pertanto, implicazioni significative per l’assetto istituzionale del sistema regionale italiano.








