Un velo di silenzio cala sull’istruzione a Campobasso: il liceo “Galanti” si sottrae al dibattito sulla questione palestinese, ostacolando l’espressione di voci studentesche impegnate a sostenere i diritti del popolo palestinese.
La denuncia, sollevata dal “Collettivo dal basso per la Palestina”, apre un’inquietante riflessione sull’autonomia di pensiero e la responsabilità delle istituzioni scolastiche di fronte a un conflitto che investe il panorama internazionale.
La vicenda si inserisce in un contesto globale segnato da un’escalation di violenza a Gaza, riconosciuta da prestigiose commissioni delle Nazioni Unite come potenziale genocidio.
Mentre l’Unione Europea, benché con lentezza e difficoltà, si interroga su possibili sanzioni e le amministrazioni locali cercano gesti simbolici di solidarietà, il liceo “Galanti” pare preferire un’omissione strategica, un disimpegno che rischia di compromettere la formazione civile degli studenti.
Le giustificazioni addotte dalla dirigenza scolastica appaiono insufficienti e problematiche.
La paura di offendere la sensibilità di eventuali studenti ebrei, sebbene meritevole di attenzione, non può essere elevata a principio assoluto, precludendo il confronto e la discussione aperta.
Analogamente, il timore di “politizzare” la scuola rischia di confondere la neutralità con la negazione di un problema complesso e urgente, eludendo il ruolo cruciale dell’istituzione scolastica nell’educare alla responsabilità e alla cittadinanza attiva.
La formazione di un’opinione autonoma e critica, diritto inviolabile di ogni studente, non può essere sacrificata sull’altare di preoccupazioni pretestuose.
L’istruzione non è un mero trasferimento di informazioni, ma un processo di stimolazione intellettuale, di confronto e di sviluppo del pensiero critico.
Le scuole, in particolare, hanno il dovere di creare spazi sicuri dove le idee possano essere espresse, anche quelle scomode o contestate, promuovendo un dialogo costruttivo e rispettoso delle diverse prospettive.
La vicenda del liceo “Galanti” solleva interrogativi più ampi sulla libertà di espressione nelle scuole italiane, sul ruolo delle istituzioni educative nell’affrontare temi controversi e sulla responsabilità di formare cittadini consapevoli e capaci di pensiero critico.
Il silenzio, in questo caso, non è una virtù, ma un atto di omissione che impoverisce l’istruzione e compromette il futuro della democrazia.
È imperativo che le scuole si aprano al dibattito, promuovano l’informazione e stimolino la partecipazione attiva degli studenti, affinché possano diventare protagonisti consapevoli del mondo che li circonda.







