La gravità del conflitto israelo-palestinese richiede un’analisi che vada oltre la semplice cronaca degli eventi bellici, conducendo a una riflessione morale e politica profonda. L’espressione “genocidio”, pur controversa, solleva un campanello d’allarme che non può essere ignorato, come evidenziato dall’arcivescovo emerito Giancarlo Bregantini, ex guida delle diocesi di Campobasso e Locri. Definire le azioni militari in corso come un genocidio implica una valutazione del loro impatto sulla popolazione civile, della distruzione sistematica di infrastrutture essenziali e della potenziale cancellazione di un’identità culturale e storica.L’ostinazione di Israele nel perpetuare un approccio puramente militare, nonostante i ripetuti appelli del Papa Francesco e della comunità internazionale, appare come una scelta strategica discutibile. Sebbene l’uso della forza in determinate circostanze possa essere giustificato da necessità di difesa, l’assenza di un impegno parallelo verso la riconciliazione e la costruzione di un futuro condiviso rivela una visione limitata e potenzialmente autodistruttiva. L’insistenza esclusiva sulla potenza bellica, senza un investimento significativo nella comprensione reciproca, nella giustizia sociale e nella promozione di un dialogo inclusivo, rischia di esacerbare le tensioni e di alimentare un ciclo di violenza inarrestabile.La soluzione dei due Stati, per Bregantini, non rappresenta una mera opzione politica, ma una necessità impellente per garantire la dignità e l’autodeterminazione di entrambi i popoli. La Striscia di Gaza, con la sua storia millenaria e la sua ricca identità culturale, non può essere considerata un’appendice di Israele. Negare la sua sovranità significa negare la sua esistenza e perpetuare un’ingiustizia storica. Riconoscere Gaza come Stato indipendente implica l’accettazione della sua legittimità e l’impegno a costruire relazioni basate sul rispetto reciproco e sulla cooperazione.La vera sfida, tuttavia, non risiede unicamente nella definizione dei confini territoriali, ma nella creazione di una cultura di pace che trascenda le divisioni e le animosità del passato. Questo richiede un cambiamento profondo nella mentalità di entrambe le parti, un’apertura al dialogo e alla comprensione dell’altro, un impegno a superare i pregiudizi e le generalizzazioni. La pacificazione culturale, sociale e politica deve essere il fulcro di qualsiasi strategia a lungo termine, poiché solo attraverso la riconciliazione e la costruzione di ponti sarà possibile creare un futuro di convivenza pacifica e prospera per tutti. La responsabilità di avviare questo processo di trasformazione incombe su tutti gli attori coinvolti, dai leader politici ai leader religiosi, dagli intellettuali ai cittadini comuni. Ignorare questa responsabilità significherebbe condannare le generazioni future a un’esistenza segnata dalla violenza e dalla disperazione.
Israele-Palestina: Genocidio, Pace e la Sfida della Riconciliazione
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