La richiesta di un voto unanime in Parlamento su una risoluzione riguardante la situazione palestinese, avanzata dal Governo Meloni, solleva interrogativi profondi e ineludibili.
L’invito, formulato in un momento storico gravido di implicazioni morali e politiche, si scontra con un passato recente che il Movimento 5 Stelle, attraverso la voce del suo leader Giuseppe Conte, ritiene non possa essere ignorato.
La franchezza con cui Conte ha espresso le sue riserve, durante l’intervento all’Università della Calabria, a Rende, sottolinea una frattura che va ben oltre la semplice divergenza politica.
La questione non si riduce a un mero disaccordo proceduralo o tattico; essa incarna una riflessione più ampia sulla responsabilità collettiva di fronte a un dramma umanitario di proporzioni inimmaginabili.
Conte ha implicitamente evidenziato come l’apparente silenzio, o meglio, la deliberata omissione di una condanna esplicita e di un’azione concreta, da parte di una parte politica, nei confronti di eventi tragici come la perdita di vite umane – in particolare quella di oltre ventimila bambini – comprometta seriamente la credibilità di qualsiasi tentativo di presentarsi uniti di fronte alla comunità internazionale.
L’argomentazione non è una mera accusa, ma un’esortazione a una profonda revisione dei criteri che guidano le decisioni politiche.
Un voto unanime, in queste circostanze, rischierebbe di svuotare di significato il concetto stesso di voto, trasformandolo in un atto privo di sostanza e incapace di rappresentare le diverse sensibilità presenti in Parlamento e nella società.
La questione palestinese, infatti, non è un tema neutro o marginale.
Essa è al centro di un complesso intreccio di fattori geopolitici, storici, economici e religiosi, che rendono impossibile una soluzione semplice o immediata.
Richiede, pertanto, un approccio ponderato, basato sulla conoscenza approfondita dei fatti, sulla compassione verso le vittime e sulla volontà di agire concretamente per promuovere la pace e la giustizia.
La posizione assunta da Conte, quindi, non è un rifiuto a priori di un voto sulla questione palestinese, bensì una richiesta di un voto che sia realmente significativo, un voto che rifletta la consapevolezza della gravità della situazione e l’impegno a contribuire a una soluzione equa e duratura.
Un voto, in definitiva, che non possa essere percepito come un atto di facciata o un tentativo di placare le coscienze.
La responsabilità politica, in questo contesto, implica la capacità di dire chiaramente le proprie posizioni, anche quando queste sono scomode o impopolari, e di agire coerentemente con i propri principi.








