Condanne e truffe nel processo ‘ndranghetista a Torino: intricato caso giudiziario con pesanti pene.

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25 luglio 2024 – 20:45

A Torino, durante uno dei processi derivanti dall’inchiesta Cagliostro, si è affrontato un intricato caso che ha portato a cinque condanne con rito abbreviato, oscillanti tra i 3 e gli 8 anni di reclusione. Questo filone processuale, emerso dall’indagine su ‘ndrangheta ad Ivrea e nei comuni circostanti, ha visto l’imposizione di pesanti pene: 8 anni per Antonino Mammoliti, 6 per Flavio Carta, 5 anni e 10 mesi per Stefano Marino, 5 anni e 6 mesi per Maurizio Buondonno e infine 3 anni per Francesco Vaval. I difensori degli imputati – Celere Spaziante, Enrico Scolari, Mario Benni, Ferdinando Ferrero ed Ercole Cappuccio – hanno cercato in ogni modo di arginare le accuse formulate dai pubblici ministeri Livia Locci e Dionigi Tibone della Dda: associazione mafiosa, truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione illegale di armi con modalità mafiose.Il giudice ha riconosciuto la colpevolezza associativa per quattro dei cinque imputati in base alle prove presentate. Le indagini condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino sotto la supervisione della Dda hanno evidenziato gravi sospetti riguardo alla presenza di una cellula ‘ndranghetista tra Ivrea, Chivasso e aree limitrofe. Si è ipotizzata l’esistenza di due bracci operativi: uno specializzato nel traffico internazionale di stupefacenti con base a Torino e l’altro nell’attuazione di vari reati contro il patrimonio come truffe agli imprenditori.Nel contesto del processo abbreviato si è discusso dettagliatamente delle truffe della valigetta: un meccanismo fraudolento alternativo al narcotraffico che avrebbe consentito agli accusati di evitare sanzioni più severe. Gli indagati si presentavano come affiliati a famiglie criminali calabresi offrendo alle vittime la possibilità di acquistare ingenti quantità di denaro sporco a tariffe vantaggiose. Tuttavia, una volta aperte le valigette presumibilmente contenenti banconote, le vittime scoprivano solo pacchi di caffè o fogli giornalistici. Di fronte alle proteste delle vittime per il denaro non ricevuto, gli indagati minacciavano utilizzando il loro presunto legame con la ‘ndrangheta al fine di intimidire le persone coinvolte ad abbandonare ogni reclamo.

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