07 settembre 2024 – 10:45
Il 30 luglio 2018, un evento sconvolgente ha scosso la città di Torino: la corda del Turin Eye, la mongolfiera che dominava il cielo sopra il Baln, è stata deliberatamente tagliata da Paolo Gorini. Il suo obiettivo era far precipitare a terra il suo ex socio Stefano Bernardi, con il quale aveva un rapporto burrascoso. Ma qual era l’intento di Gorini? Voleva ucciderlo o solo infliggergli del male? Forse voleva dimostrare cosa accade quando si trascurano le norme di sicurezza, simulando un infortunio sul lavoro. La situazione di Bernardi, sospeso a mezz’aria sotto l’equatore della mongolfiera, ha influenzato la decisione di Gorini di recidere la fune? Questi interrogativi saranno al centro del nuovo processo che la Corte d’Appello di Torino dovrà celebrare su questo episodio. La Cassazione ha annullato la condanna a 8 anni per tentato omicidio con dolo eventuale a causa di un difetto nella motivazione. Gli ermellini ritengono che i giudici di secondo grado non abbiano esaminato a fondo le motivazioni del gesto, peggiorando così la decisione del Tribunale che aveva condannato Gorini a 2 anni e mezzo per lesioni volontarie senza confutare logicamente e giuridicamente gli argomenti alla base della sentenza più mite. Inoltre, non è stata data sufficiente importanza al rischio legato all’altezza: secondo una perizia tecnica, vi era un rischio di morte superiore al 30%. La dinamica dell’accaduto rivela che durante i lavori di manutenzione della mongolfiera, Gorini ha tagliato la fune su cui si trovava Bernardi mentre prelevavano campioni di tessuto. Il gesto ha causato una caduta libera del collega per oltre sette metri. Nei giorni successivi, Gorini ha cercato di far passare l’incidente come un tragico accidente. Durante il primo grado del processo presieduto da Paolo Gallo è emerso che l’imputato ha scelto deliberatamente di utilizzare il cutter quando Bernardi si trovava ancora relativamente in basso, mostrando così una volontà punitiva anziché omicida.
