Un anno segnato da un crescendo di intimidazioni e atti di violenza, un ciclo distruttivo che si è protratto nonostante i tentativi di interromperlo attraverso la denuncia alle autorità.
L’arresto di sabato sera, operato a Como in seguito a un’ulteriore aggressione nei confronti della sua ex compagna di ventuno anni, sembrava preludere a una svolta.
Tuttavia, un déjà-vu agghiacciante ha visto il soggetto rilasciato, riproponendo una situazione analogamente frustrante già verificatasi a Varese in circostanze simili.
Questo scenario mette in luce una problematica più ampia, un sistema di giustizia penale che appare incapace di offrire una protezione efficace alle vittime di violenza domestica e di genere.
La reiterazione di episodi delittuosi, nonostante le denunce formali, solleva interrogativi profondi sull’applicazione delle misure cautelari, sulla severità delle pene e, soprattutto, sulla reale capacità del sistema di tutelare la sicurezza delle donne.
L’episodio di Como non è un caso isolato.
Rappresenta una manifestazione concreta di una tendenza preoccupante: la persistente impunità che incoraggia l’aggressore a ripetere i suoi comportamenti violenti, alimentando un clima di paura e insicurezza.
La libertà concessa, in queste circostanze, non è solo un affronto alla vittima, ma un messaggio pericoloso per l’intera società.
È necessario un ripensamento radicale dell’approccio alla violenza domestica.
Non è sufficiente limitarsi all’arresto e al rilascio.
È imprescindibile implementare programmi di protezione efficaci per le vittime, che includano supporto psicologico, legale e, se necessario, misure di alloggio sicuro.
Parallelamente, è fondamentale intensificare i controlli sui presunti aggressori, monitorandone costantemente i comportamenti e applicando, quando opportuno, misure di allontanamento e limitazioni alla libertà personale.
La risposta della giustizia non può essere un processo di “rinvio” o di “sospensione”.
Deve essere tempestiva, decisa e orientata alla prevenzione della recidiva.
L’applicazione rigorosa delle leggi esistenti, abbinata a un investimento significativo nella formazione di operatori specializzati – forze dell’ordine, magistrati, psicologi, assistenti sociali – è essenziale per spezzare il circolo vizioso della violenza e garantire un futuro più sicuro per tutte le donne.
La ripetizione di questi eventi non può rimanere una fatalità, ma deve stimolare un’azione concreta e determinata a livello legislativo, giudiziario e sociale.