Il progetto di un Museo del Ricordo, promosso dal governo Meloni, si configura come un atto di risarcimento storico e un impegno verso la ricostruzione di una memoria condivisa.
La sua prima incarnazione, la mostra “Medif – Esuli Dalmati, Istriani e Fiumani”, ospitata nel maestoso Vittoriano, segna un punto di svolta nella narrazione nazionale, restituendo dignità a una pagina di storia a lungo marginalizzata e silenziata.
Per oltre otto decenni, le voci di oltre 350.
000 persone – fiumani, istriani e dalmati – sono state soffocate da un oblio imposto, oscurando l’esperienza traumatica di un esilio forzato, un’espulsione che ne ha sradicato dall’identità e dalla terra natia.
Questo silenzio, frutto di un complesso intreccio di fattori politici e sociali, ha contribuito a una distorsione della memoria collettiva, relegando queste comunità ai margini della coscienza nazionale.
La scelta del Vittoriano, simbolo dell’unità nazionale e custode della storia comune italiana, amplifica il significato di questa iniziativa.
Ospitare una narrazione così dolorosa e complessa in un luogo così iconico rappresenta un atto di riconciliazione, un tentativo di integrare queste esperienze nel tessuto storico nazionale.
La mostra si apre a cento anni dalla collocazione della statua della Dea Roma, un’immagine che, nel corso del tempo, ha assunto il significato di Dea Italia, sottolineando la continuità tra il passato e il presente, tra la storia dimenticata e la memoria che si ricostruisce.
Il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, sottolinea l’importanza di questo momento come un impegno morale verso la verità storica, contrapponendosi a interpretazioni distorte e strumentalizzazioni politiche.
Egli afferma che la forza del racconto del dolore e della sofferenza è superiore a qualsiasi tentativo di manipolazione.
L’eredità del suo predecessore, Sangiuliano, che aveva annunciato la creazione del museo, si concretizza così in un’azione tangibile, un riconoscimento del valore intrinseco di queste testimonianze.
Le parole di Italia Giacca, esule istriana e figura di spicco nell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, offrono un’immagine vivida e commovente dell’esperienza vissuta.
La sua testimonianza, che spazia dall’innocenza infantile alla resilienza materna e alla fermezza paterna, incarna la forza e la dignità di un intero popolo.
Questa testimonianza personale, così intensa e autentica, rappresenta il cuore pulsante del progetto, un antidoto all’oblio e alla dimenticanza.
Il Ministro, riconoscendo l’insufficienza delle proprie parole di fronte a una tale forza espressiva, si definisce “primo esule della patria”, sottolineando la responsabilità che incombe su chi si assume il compito di custodire e trasmettere la memoria.
La mostra e il futuro museo si configurano non solo come luoghi di esposizione di reperti e documenti, ma come spazi di dialogo, di riflessione e di ricostruzione di un’identità nazionale più completa e inclusiva, un atto di giustizia verso coloro che hanno perduto la loro terra e la loro storia.
La memoria, in definitiva, è il fondamento di una coscienza collettiva matura e consapevole, essenziale per comprendere il presente e costruire un futuro più giusto e pacifico.