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Bruni Tedeschi: Arte, Empatia e la Guerra dell’Indifferenza

La costruzione di un personaggio, per Valeria Bruni Tedeschi, si rivela un atto di profonda connessione umana.
Non un mero studio recitativo, ma un’immersione empatica, come stringere un’amicizia nata su un treno, un legame che fiorisce nel rispetto e, spesso, nella reciproca affezione.
Questo approccio, profondamente sentito, la guida nell’interpretazione di Eleonora Duse, figura iconica al centro del nuovo biopic di Pietro Marcello, un’opera che ne esplora gli anni cruciali, un’autunno esistenziale incastrato tra la Grande Guerra e l’alba del fascismo.

Marcello, regista di opere come “Martin Eden” e “Le vele scarlatte”, ha scelto di focalizzarsi su un Duse resiliente, tormentata dalla malattia ma animata da un irrefrenabile desiderio di palcoscenico.

Non una figura eroica, ma un’anima inquieta, un personaggio in rivolta contro il declino, un’incarnazione di un’epoca sospesa tra tradizione e modernità.

La scelta di Bruni Tedeschi non è casuale: il regista ha riconosciuto in lei la capacità di incarnare lo spirito indomito di questa donna.

La Duse, figura centrale nel panorama artistico del suo tempo, è stata oggetto di ammirazione anche per Lee Strasberg, fondatore dell’Actors Studio, che ne intuì l’utilizzo intuitivo dei principi recitativi che lui stesso stava sviluppando.

La sua figura, tuttavia, si rivela ben più complessa della semplice icona teatrale.

Il film presenta un affresco di personaggi chiave del periodo, tra cui un ambiguo Gabriele D’Annunzio (Fausto Russo Alesi), un Benito Mussolini delineato con ambivalenza, e una Enrichetta Duse (Noémie Merlant) con la quale il rapporto era segnato da tensioni profonde.

La Duse, pur avvicinandosi a Mussolini con un’ingenua speranza di ottenere un teatro indipendente, si sarebbe poi disillusa, comprendendo gli errori di una scelta motivata da un’eccessiva fiducia nella propria capacità di navigare in acque politiche insidiose.

“Tutti sbagliamo”, sottolinea Marcello, “è un tratto intrinseco all’umanità, e rende i personaggi più veri, più vicini a noi.
”Bruni Tedeschi rivela come la Duse, al di là della fama, non si percepisse come una diva.
Il lavoro, per lei, era essenziale, un vero e proprio “ossigeno”, e il teatro, la vetta più alta da conquistare.
Il miglioramento artistico era inestricabilmente legato alla crescita umana, e la sua sensibilità verso le fragilità altrui, un tratto commovente che ha profondamente colpito l’attrice.
Bruni Tedeschi parla di “riunioni segrete”, di presenze invisibili che la guidano, evocando un metodo recitativo che trascende la mera tecnica.
Il parallelo tra la Duse e Bruni Tedeschi si rivela profondo.

La propensione al pianto, la vulnerabilità, erano elementi che la Duse non nascondeva, e che Bruni Tedeschi considera cruciali per una narrazione autentica, in un’epoca ossessionata dalla forza e dalla vittoria.

L’arte, con la sua capacità di confrontarsi con la violenza, la perversione, la crudeltà dell’esistenza, offre una via di catarsi, di pace, di empatia.

L’assenza di empatia, la mancanza di compassione verso il prossimo, è, secondo Bruni Tedeschi, la radice della guerra.

L’arte, in ultima analisi, è un potente strumento di pace, un antidoto all’indifferenza, un invito alla comprensione reciproca.

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