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Day-Lewis e Ronan: Un Film, Un Legame, Un Silenzio.

Il ritorno di Daniel Day-Lewis sul set, dopo un silenzio di otto anni, non si manifesta con proclami o spiegazioni elaborate, bensì con un gesto: un sorriso rivolto al figlio, Ronan, pittore e nuovo regista.

Questo semplice atto rivela il nucleo del progetto “Anemone”, presentato ad Alice nella Città e in arrivo nelle sale, un film che affonda le sue radici in un legame profondo, un’eredità artistica condivisa e un percorso di ricostruzione interiore.

“Anemone” esplora la complessa dinamica tra due fratelli, Ray (interpretato da Day-Lewis) e Jem (Sean Bean), separati da vent’anni e tormentati da un passato condiviso: la guerra civile nordirlandese, i “Troubles”, che ha lasciato cicatrici indelebili in entrambi.
Ray ha scelto l’auto-esilio, un distacco volontario dal mondo, mentre Jem ha cercato conforto nella fede, nella compagnia di Nessa (Samantha Morton) e nel figlio Brian (Samuel Bottomley), costruendo una nuova esistenza apparentemente più stabile.

L’esperienza creativa condivisa tra padre e figlio, un’abitudine che affonda le radici nell’infanzia, ha plasmato il film.

La scelta del silenzio, l’allontanamento dal clamore di Hollywood, non è stata una decisione presa alla leggera.

Day-Lewis, noto per la sua dedizione metodica e la sua riluttanza verso la pubblicità, ha confessato di sentirsi soffocato da certi aspetti del sistema cinematografico, un certo “esibizionismo” che contrastava con la sua profonda necessità di introspezione.

Il desiderio di libertà, di evasione dalla pressione dell’immagine pubblica, lo ha portato a un ritiro necessario, un momento di rigenerazione interiore.

L’ombra di una figura paterna complessa aleggia sulla storia.

Ronan Day-Lewis rivela un rapporto travagliato con il padre, Cecil Day-Lewis, poeta e scrittore di spicco, e con la madre, Jill Balcon, attrice e figlia di un’icona del cinema inglese, Sir Michael Balcon. Cecil, figura dominante e assorbente, ha creato un ambiente domestico incentrato sulle sue esigenze creative, generando un clima di silenzio e di camminamento “in punta di piedi”.
La perdita precoce del padre ha ulteriormente complicato il rapporto.

Nonostante le difficoltà, Ronan riconosce l’influenza culturale dei genitori, custodi di una profonda passione per la lingua inglese e la letteratura, un’eredità che ha nutrito la sua sensibilità artistica.

L’addestramento metodico di Day-Lewis, la ricerca costante di verità e di autenticità, si riflettono nella sua riluttanza a esprimere giudizi superficiali su temi complessi.

La domanda sulla situazione a Gaza suscita in lui una riflessione più profonda: “Non è una questione che si può liquidare in due parole.
Posso solo dire che sono due popoli mal rappresentati.

” Una dichiarazione che sottolinea la sua avversione per le semplificazioni e la sua compassione verso le vittime di conflitti e ingiustizie.

“Anemone”, quindi, si presenta come un’opera che va oltre la semplice narrazione di una storia familiare, proponendosi come un’esplorazione intima del dolore, della redenzione e del potere trasformativo dell’arte.

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