L’eco del Leone d’oro, un riconoscimento che si fa portavoce di una lunga e straordinaria carriera, ha scatenato in Werner Herzog un’emozione palpabile, tradotta in parole che sfiorano l’essenzialità.
Non ambiva a una mera espressione artistica, ma a qualcosa di più rarefatto, un’esperienza quasi sospesa tra il terreno e l’etereo.
Per lui, il cinema non è solo un mestiere, ma una disciplina rigorosa, un esercizio di resilienza, una sfida continua che richiede coraggio e una dedizione che sconfina nel dovere.
Questa etica del lavoro, questa ferrea perseveranza, lo hanno condotto a questo momento, un traguardo celebrato con profonda commozione.
Francis Ford Coppola, con un gesto che trascende la semplice lode, ha espresso un’ammirazione quasi incredula, giungendo ad affermare di non immaginare l’esistenza di una figura simile.
Non si limita a riconoscerne il talento, ma ne sottolinea l’unicità, l’innovazione radicale che ha generato categorie estetiche e narrative ancora prive di definizione, una vera e propria rivoluzione nel linguaggio cinematografico.
È come se Herzog avesse inaugurato un intero universo artistico, così vasto e complesso da richiedere un’enciclopedia dedicata esclusivamente alla sua opera.
L’abbraccio della sala, un’ovazione sentita e liberatoria, ha accompagnato il momento in cui le immagini dei suoi film hanno danzato sullo schermo, evocando paesaggi inesplorati, storie di sopravvivenza, esplorazioni esistenziali che hanno segnato profondamente la storia del cinema.
Un viaggio visivo attraverso un immaginario potente, spesso crudo eppure intriso di una bellezza struggente, che testimonia la sua capacità di sondare le profondità dell’animo umano e di rivelare la grandiosità e la fragilità del mondo che ci circonda.
Un’eredità cinematografica che si rivela non solo come una raccolta di opere, ma come un vero e proprio manifesto di un approccio al cinema che sfida le convenzioni e trascende i confini del tempo.