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Ocean Vuong: Fragilità, Resilienza e i Giganti della Letteratura

Ocean Vuong: Un Ritratto di Fragilità e Resilienza tra Moby Dick e i Fratelli KaramazovIn un panorama letterario sempre più frammentato, Ocean Vuong emerge come una voce dissonante e profondamente umanista.
Autore di “Brevemente risplendiamo sulla terra”, e ora presente al Festivaletteratura di Mantova con il suo nuovo romanzo, “L’imperatore della gioia” (Guanda), Vuong traccia un percorso narrativo che si interseca con la letteratura classica, l’esperienza personale e l’analisi sociale.
Il confronto con Moby Dick di Melville non è casuale.

Come l’opera di Melville, “L’imperatore della gioia” esplora la condizione umana in un contesto di fatica e precarietà, ma lo fa spostando l’attenzione dalle profondità dell’oceano alla terraferma, focalizzandosi sulla working class, sugli emarginati e sui migranti, figure spesso invisibili nella narrazione dominante.
Vuong, nato in Vietnam e trasferitosi negli Stati Uniti all’età di dieci anni, si definisce un “outsider”, un osservatore privilegiato delle contraddizioni e delle ferite che attraversano la società americana.

La sua prospettiva critica non si limita a denunciare l’amministrazione Trump, che definisce un sintomo di un problema più profondo, ma si estende a una riflessione più ampia sulle dinamiche del potere, le ideologie e le responsabilità individuali.
“Dobbiamo combattere le idee, non le persone” afferma, sottolineando l’importanza di un approccio costruttivo e di redenzione, capace di estirpare le radici del pregiudizio e della violenza.
“L’imperatore della gioia” è un romanzo denso di simbolismo e di elementi fantastici.

Ambientato in una città postindustriale del Connecticut, il libro racconta la storia di Hai, un giovane sull’orlo del precipizio, salvato dall’intervento inaspettato di Grazina, un’anziana immigrata lituana affetta da Alzheimer.

Grazina, personaggio ispirato a una figura reale, incarna la resilienza e la memoria di un’epoca segnata da traumi e perdite.
La loro relazione, intrisa di tenerezza e di rimpianto, si configura come un ponte tra generazioni e culture, offrendo una fragile speranza di redenzione.
Il romanzo è intriso di elementi autobiografici.

L’esperienza di Vuong, che ha interrotto gli studi universitari per vivere in stazione e successivamente ha trovato rifugio nella casa di una donna anziana, si intreccia con la creazione di un mondo immaginario popolato da gufi e da carote che hanno il potere di alleviare la tristezza.
La scrittura manuale, per Vuong, è un rituale che gli permette di rallentare il ritmo e di approfondire la connessione con le parole e con le immagini.

L’influenza della letteratura italiana è palpabile.

Dostoevskij, in particolare “I Fratelli Karamazov”, rappresenta un faro per Vuong, la cui frase “Non avere paura della vita, figliolo.

La vita è bella quando si fa qualcosa di bello per gli altri” risuona come un mantra.

L’esperienza italiana, con le residenze artistiche in Umbria, le letture alla Milanesiana e l’illuminazione ricevuta davanti alle crepe di Palazzo Reale, ha contribuito a plasmare la sua visione del mondo e il suo percorso di scrittore.

Queste cicatrici, le ferite lasciate dalla storia, non vanno nascoste o riparate, ma mostrate come testimonianza della fragilità e della resilienza dell’umanità.
La letteratura, per Vuong, è un’arca capace di trasportare i ricordi, le speranze e i sogni di un mondo in continuo mutamento.

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