La crescente fragilità del sistema moda italiano, esposta recentemente da vicende delicate come quella che ha coinvolto Tod’s, ha innescato una risposta governativa mirata.
Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy ha indetto un tavolo di lavoro con urgenza, fissato per il 15 ottobre, con l’obiettivo di orchestrare un approccio strategico a due fronti: la salvaguardia della reputazione del Made in Italy e la repressione dell’impatto pervasivo del fast fashion.Questa iniziativa non è un’azione isolata, bensì il segnale di una presa di coscienza più ampia.
Il Made in Italy, da sempre sinonimo di eccellenza artigianale, design innovativo e materiali di pregio, si trova ad affrontare una complessa congiuntura.
L’aggressività del mercato globale, caratterizzato da modelli di business basati sulla produzione di massa, cicli di tendenza accelerati e costi minimi, erode progressivamente il valore intrinseco del patrimonio manifatturiero italiano.
Il problema non è solo economico.
La diffusione del fast fashion, alimentata da una cultura del consumo effimero e di basso costo, ha implicazioni etiche e ambientali significative.
Dietro i prezzi stracciati si celano spesso condizioni di lavoro precarie, sfruttamento della manodopera e un impatto devastante sull’ambiente, a causa dell’utilizzo intensivo di risorse, delle emissioni inquinanti e della produzione di rifiuti tessili.
Il tavolo di lavoro del 15 ottobre si propone di esplorare una serie di azioni concrete.
In primis, sarà fondamentale rafforzare i meccanismi di controllo e certificazione dell’autenticità del Made in Italy, contrastando efficacemente la contraffazione e le etichette fraudolente che ne diluiscono il valore.
Questo implica un potenziamento dei controlli a livello doganale, una maggiore collaborazione con le autorità giudiziarie e una sensibilizzazione dei consumatori sull’importanza di riconoscere e premiare la vera qualità.
Parallelamente, si dovrà elaborare una strategia per affrontare la sfida del fast fashion. Questo non significa necessariamente imporre divieti o limitazioni, ma piuttosto promuovere modelli di business più sostenibili e responsabili.
Si potrebbe incentivare l’utilizzo di materiali riciclati e a basso impatto ambientale, sostenere la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie per la produzione tessile, e promuovere l’economia circolare, incoraggiando il riuso, il riciclo e la riparazione dei capi di abbigliamento.
Un elemento chiave sarà la collaborazione con le imprese, le associazioni di categoria, i sindacati e le istituzioni regionali.
È necessario creare un ecosistema favorevole all’innovazione, alla formazione e alla competitività, che permetta alle aziende italiane di affermarsi sui mercati internazionali, valorizzando la loro unicità e la loro capacità di creare prodotti di alta qualità, duraturi e responsabili.
Infine, la comunicazione e la sensibilizzazione dei consumatori rivestiranno un ruolo cruciale.
È necessario educare i cittadini a fare scelte di consumo più consapevoli, premiando le aziende che si impegnano a rispettare l’ambiente, i lavoratori e la tradizione artigianale italiana, e rifiutando i prodotti di scarsa qualità e provenienti da filiere opache.
La difesa del Made in Italy non è solo una questione economica, ma anche un atto di responsabilità sociale e culturale.