mercoledì 10 Settembre 2025
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Salari 2025: Crescita nominale, potere d’acquisto in calo.

Il panorama delle retribuzioni contrattuali nel primo semestre del 2025 rivela una dinamica complessa, caratterizzata da una crescita nominale contrastata da una perdita di potere d’acquisto significativa se confrontata con i livelli pre-pandemia.
Secondo l’analisi recentemente divulgata dalla Cisl, l’incremento salariale complessivo si attesta al 3,5% rispetto al primo semestre del 2024.

Tuttavia, un’analisi più approfondita, che sottrae l’impatto dell’inflazione, evidenzia come i salari reali siano rimasti indietro di quasi nove punti percentuali rispetto a quelli registrati nel 2019, anno considerato precursore di un periodo economico più stabile.
Questo disallineamento è direttamente collegato alla persistenza di un’inflazione elevata, quantificata al 17,4% nel periodo in esame, mentre l’aumento nominale delle retribuzioni si è fermato all’8,3%.
In altre parole, l’erosione del potere d’acquisto dei lavoratori è stata considerevole, sebbene parzialmente mitigata dagli interventi fiscali previsti.
L’impatto della tassazione sui redditi da lavoro dipendente offre una prospettiva più sfumata.
Dopo aver considerato le imposte e le tasse, si registra un aumento complessivo del 14,5%.

Tuttavia, la distribuzione di questo incremento non è omogenea tra le diverse fasce di reddito.

La fascia più bassa, quella che tradizionalmente risente maggiormente delle fluttuazioni economiche e dell’inflazione, ha visto un aumento del 14,5%, con un divario residuo rispetto all’inflazione ancora significativo, pari a 2,9 punti percentuali.

Questo significa che, nonostante l’aumento nominale, i lavoratori meno remunerati continuano a subire un’erosione del potere d’acquisto.

Nella fascia media, l’aumento del 14,9% rappresenta un miglioramento rispetto alla fascia più bassa, con un divario residuo più contenuto, solo dello 0,5 punto percentuale.

Questo indica una maggiore capacità di assorbimento dell’inflazione da parte dei lavoratori con redditi medi.
Infine, la fascia alta, tradizionalmente meno esposta agli effetti negativi delle crisi economiche, ha registrato un aumento del 12%, ma con un divario residuo ancora elevato, pari al 5,4 punti percentuali.
Questo suggerisce che anche i lavoratori con redditi più alti non sono completamente immuni all’impatto dell’inflazione, sebbene siano in grado di attenuarlo in misura maggiore rispetto alle fasce di reddito inferiori.
L’analisi della Cisl sottolinea la necessità di politiche economiche mirate a contenere l’inflazione e a garantire una crescita salariale reale, in grado di compensare l’erosione del potere d’acquisto e di ridurre le disuguaglianze all’interno del mercato del lavoro.
La situazione richiede un monitoraggio costante e interventi correttivi per assicurare una distribuzione più equa dei benefici della ripresa economica.

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