domenica, 20 Luglio 2025
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Maniero e il compagno di cella: lite per la TV e il russare.

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Nel panorama delle dinamiche carcerarie, un episodio recente ha visto coinvolto Felice Maniero, figura storica legata alla Mala del Brenta, riemergendo in un contesto giudiziario fiorentino.
Maniero, già noto per una condanna di quattro anni derivante da un procedimento per maltrattamenti nei confronti della sua ex compagna, Marta Bisello, si trovava detenuto presso il carcere di Sollicciano nel luglio 2020, quando si sarebbero verificati i fatti che ora lo vedono imputato.
L’udienza, svoltasi in teleconferenza per garantire la sicurezza e la protezione di Maniero, ha gettato luce su un’aggressione avvenuta all’interno della cella.

Al centro del conflitto, un detenuto pugliese collaboratore di giustizia, con il quale Maniero condivideva lo spazio ristretto.

Secondo la ricostruzione fornita dall’ex boss, le motivazioni dell’alterco sarebbero riconducibili a problematiche relative alla coesistenza in ambiente detentivo, spesso amplificate da tensioni latenti e frustrazioni individuali.

In particolare, Maniero avrebbe percepito come eccessivo il volume a cui il compagno di cella teneva la televisione, un dettaglio apparentemente banale che, in un contesto di isolamento e limitazione della libertà personale, può assumere un peso significativo.
A questo si sarebbe aggiunto un altro fattore di disturbo: il russare pesantemente del detenuto pugliese, un elemento che, secondo la stessa versione fornita dall’imputato, avrebbe contribuito a creare un clima di irritazione e insofferenza.

L’esasperazione, a quanto pare, avrebbe portato Maniero a reagire in modo violento, utilizzando il telecomando della televisione come arma per colpire il compagno di cella.

L’impatto avrebbe causato una frattura del setto nasale e diverse ecchimosi, lesioni giudicate guaribili in circa dieci giorni.

La dichiarazione di Maniero, descritta con una certa apparente leggerezza, si è presentata come una giustificazione pragmatica, un tentativo di minimizzare la gravità del gesto attraverso l’attribuzione di una ragione apparentemente banale.
Questo episodio, pur nella sua apparente semplicità, solleva interrogativi complessi sulle dinamiche di potere e di convivenza all’interno degli istituti penitenziari.
La gestione dei conflitti, l’adattamento alle regole detentive e la gestione delle frustrazioni rappresentano sfide quotidiane per i detenuti, e le tensioni possono esplodere in episodi di violenza anche per questioni apparentemente triviali.

L’episodio Maniero, quindi, si configura come una finestra sulla realtà carceraria, dove la convivenza forzata e le limitazioni alla libertà possono amplificare anche i più piccoli disagi, trasformandoli in potenziali cause di conflitto.

La testimonianza, al di là della sua apparente indifferenza, sottolinea una realtà spesso ignorata: il carcere è un ecosistema fragile, dove anche un volume troppo alto può innescare una spirale di violenza.

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