Un carico di armamenti Oto Melara, destinato a una nave in costruzione presso il cantiere navale di Abu Dhabi, ha sollevato un’ondata di preoccupazioni e proteste nel porto di Genova.
La presenza, fotografata dai lavoratori del Calp (Compagnia Agricola e Portuale) al terminal GMT, ha scatenato un confronto acceso tra sindacati, autorità portuali, istituzioni locali e la cittadinanza, mettendo in luce la complessità delle dinamiche legate al commercio di armi e le implicazioni etiche e geopolitiche che ne derivano.
Il segretario generale dell’Autorità Portuale, Paolo Piacenza, ha fornito rassicurazioni, in seguito a un coordinamento con le prefetture di Genova e La Spezia, circa la conformità del carico alla legge italiana 185/90 e la sua assenza di destinazione verso aree coinvolte in conflitti armati diretti.
Tuttavia, queste garanzie non hanno placato le ansie espresse dai manifestanti, che chiedono un maggiore controllo e trasparenza sulle spedizioni di armamenti che transitano nel porto genovese.
José Nivoi, portavoce del Calp e sindacalista U.
S.
B.
, ha sottolineato l’urgenza di istituire un osservatorio permanente sugli armamenti, un organismo indipendente che coinvolga tutte le istituzioni competenti – autorità portuale, prefettura, capitaneria di porto, comune – per monitorare costantemente le spedizioni e prevenire eventuali deviazioni o usi impropri.
Questa proposta, nata dal basso, riflette una crescente consapevolezza della necessità di responsabilizzare le autorità e garantire la partecipazione della società civile nel processo decisionale.
La questione non si esaurisce in una mera verifica della legalità formale.
Il Comune di Genova, a testimonianza di un dibattito pubblico sempre più acceso, aveva già incontrato il Calp, esprimendo preoccupazione e votando una mozione che invita alla sospensione di qualsiasi forma di cooperazione istituzionale, militare e di ricerca con lo Stato di Israele e al riconoscimento dello Stato di Palestina.
Questa decisione, pur controversa, riflette un crescente disagio verso le politiche internazionali e un desiderio di promuovere la pace e la giustizia.
Anche i sindacati confederali (Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti) hanno formalmente richiesto chiarimenti urgenti, esprimendo la minaccia di bloccare l’attività portuale qualora fosse emerso che il carico fosse destinato a operazioni che ledano i diritti umani, in particolare riferendosi al popolo palestinese.
La gravità delle accuse, seppur non confermate, testimonia la tensione emotiva e politica che alimenta la vicenda.
L’episodio solleva interrogativi fondamentali: quali sono i limiti etici del commercio di armi? Qual è il ruolo delle istituzioni locali nel controllo delle esportazioni? Come garantire la trasparenza e la partecipazione della società civile in processi decisionali di tale delicatezza? La richiesta di un osservatorio sugli armamenti, condivisa da diverse forze politiche e sindacali, rappresenta un primo passo verso una maggiore accountability e verso un futuro in cui il porto di Genova possa essere un luogo di scambio e di progresso, e non di conflitto.
L’evento riflette un momento cruciale, in cui la comunità genovese si interroga sul proprio ruolo nel panorama globale e sulla responsabilità che ne deriva.